Ritratto di Pasolini da giovane

Materiali d'archivio (su tutti quelli del Luce), ma anche un intreccio tra finzione e ricostruzione storica per Il giovane corsaro Pasolini da Bologna di Emilio Marrese


“È la prima volta che parlo da presidente della Fondazione Cinema per Roma, era impossibile escogitare una uscita migliore: Pasolini e Bologna”. Lo afferma Gian Luca Farinelli, anche presidente della Cineteca di Bologna. L’occasione per la sua prima uscita pubblica è la presentazione al Maxxi di Roma del film Il giovane corsaro Pasolini da Bologna di Emilio Marrese, dedicato agli anni bolognesi di Pasolini, quelli del liceo e dell’università nella città dei portici dove era nato 100 anni fa.

“Pasolini è un autore di cinema di straordinaria ricchezza: in 14 anni dal ’61 al ’75 ha girato tantissimo, da Accattone a Salò, un percorso che un regista fa in 50 anni. Cosa avrebbe fatto ora? Forse sarebbe un artista performativo, un video artista. Questo documentario per me – ha proseguito Farinelli – è miracoloso. Ho cercato di sconsigliare Marrese perché raccontare la complessità, la densità di Pasolini è difficile, ma lui ci è riuscito senza semplificare. Sono state fatte proiezioni con un pubblico di ragazzi, le sale erano piene ed è stato significativo: si esce con la voglia di scoprire di più su Pasolini. Auguro al film lunga vita”.

Alla proiezione, introdotta da Mario Sesti, oltre a Farinelli e Marrese, è intervenuta anche Giovanna Melandri, presidente del Maxxi che ha parlato di questa serata come ulteriore tappa di avvicinamento “alla grande mostra su Pasolini che stiamo preparando”. La proiezione del film, organizzata insieme a Sì Produzioni, Cinecittà, Emilia Romagna Film Commission, Comune di Bologna e Cineteca di Bologna, che distribuisce il documentario, era infatti una tappa non secondaria di PPP100 – Roma racconta Pasolini, il programma di appuntamenti che la Capitale sta dedicando al grande intellettuale per il centenario.

Il giovane corsaro – Pasolini da Bologna racconta appunto un capitolo meno noto, quello della gioventù di Pier Paolo nella città dove nacque il 5 marzo del 1922, e dove si formò, dal 1937 al 1943. Sono i “sette anni più belli della mia vita”, come ebbe a dire, anni fondamentali, per gli studi (prima al Liceo Galvani e poi all’Università), le amicizie, le prime esperienze di poeta (con la pubblicazione delle sue poesie in lingua friulana), saggista e giornalista, lo studio della storia dell’arte, la passione per il calcio giocato, la scoperta della propria omosessualità (il film dedica un capitolo agli approcci del giovane Pasolini con le ragazze) che solo a 26 anni rivelò all’amico Franco Farolfi in una lettera. E sono anni duri per l’Italia, con il fascismo prima e lo scoppio della seconda guerra mondiale, tra l’altro il fratello Guido morì nel ’45 nell’eccidio di Porzûs per mano di un gruppo di partigiani comunisti.

Quello di PPP con la città dei portici fu un legame viscerale che proseguì fino agli ultimi suoi giorni, senza risparmiare severe critiche alla Bologna “consumista e comunista” degli anni ‘70. Questo legame viene esplorato nel film – a cui collabora un David di Donatello per la fotografia, il bolognese Gian Filippo Corticelli – da un personaggio guida, uno studente impegnato in una tesi di laurea sul rapporto tra Bologna e PPP, interpretato dal giovane attore bolognese Nico Guerzoni, che sembra adombrare nella sua aura efebica ma determinata il Pasolini di quegli anni. Mentre Neri Marcorè presta la voce alle parole dello stesso Pasolini, tratte da articoli, molte lettere e alcune interviste. Il film si avvale di una vasta documentazione e una ricca iconografia in cui brillano i materiali d’archivio (su tutti l’Archivio Luce) che si intrecciano con la tessitura biografica e il racconto di finzione. Tra i contributi quelli del Centro Studi Pasolini della Fondazione Cineteca di Bologna diretto da Roberto Chiesi, del Centro Studi Pasolini di Casarsa, dell’Archiginnasio di Bologna, dell’Università di Bologna e di Cinemazero di Pordenone. Con un’iconografia in parte inedita, come nello scatto sotto i portici di Bologna, datato 1941, in cui il giovane Pier Paolo è con i suoi amici Ermes Parini e Mario Prelati alla festa delle matricole proprio prima che si facessero leggere la mano da una zingara in strada che allo scrittore predisse una morte violenta per mano di belve tra i suoi 50 e 55 anni (l’omicidio all’idroscalo di Ostia avvenne, come è noto, il 2 novembre 1975).

“Quelli a Bologna sono anni fondamentali per l’autore che poi diventò, tutto il Pasolini adulto è legato a quel periodo”, afferma il regista Emilio Marrese. “Poliedrico, curioso, vorace, inquieto, carnale, estremista, radicale, fascista prima marxista poi, conformista e ribelle, spirituale ed edonista, tutte le contraddizioni di Pasolini appartengono specularmente anche a Bologna”, è questa la tesi del film che cerca un legame spirituale e appunto carnale tra l’intellettuale e la città della sua formazione. “L’ambizione – prosegue Marrese – è di essere d’ispirazione ai giovani di oggi che cominciano a conoscerlo. Le sue frasi sono di una attualità sconcertante su temi come l’omologazione, sul ruolo dei media, sul conflitto. Aveva provato lo stesso smarrimento che provano i ragazzi oggi”. Pasolini a Bologna aveva acquisito gli strumenti intellettuali per la creatività e fatto esperienze che lo avevano segnato. “Siamo abituati all’intellettuale serio, accigliato, in guerra con il mondo, a Bologna in quegli anni – aggiunge Marrese – c’è anche allegria, tenerezza, era già un giovane pieno di personalità, con i suoi dubbi i suoi alti e bassi, enfasi e depressione ma anche tanta spensieratezza”.  

Il giovane corsaro Pasolini da Bologna arriverà prossimamente in sala e circuiterà anche con un progetto dedicato alle scuole. 

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13 Aprile 2022

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