E’ uno degli Incontri Ravvicinati più caldi e divertenti quello con Riccardo Muti, molto rilassato e pronto a mettersi in gioco con tanti aneddoti, a parlare di musica seria e di cinema, ma anche della sua autobiografia. Per lui è stato un ritorno perché alla Festa aveva diretto un concerto di musiche di Nino Rota proprio nella prima edizione. E subito è partito con una piccola rivelazione, sollecitato da Antonio Monda e da una clip video: il no alla Regina d’Inghilterra del direttore d’orchestra di Youth è ispirato a un episodio della sua carriera. “Ero a capo della Filarmonica di Londra, di cui è patrono il principe Carlo. Per i suoi 60 anni ero stato invitato a dirigere un concerto a Buckingham Palace, avevamo fissato un programma un anno prima, ma a un mese dalla data mi arrivò una lettera dal Palazzo – perché dicono così, The Palace – che chiedeva di tagliare il programma. Mi sono adeguato, un po’ seccato, ma è arrivata un’altra lettera, che chiedeva ulteriori tagli. Allora ho risposto al Palazzo: se volete un direttore d’orchestra io sono pronto, se volete un intrattenitore chiamate un altro. Che poi la ragione della fretta era che il principe doveva aprire 60 pacchetti, uno per ogni anno…”.
Tra i film che ha scelto c’è Dies irae di Dreyer. “Da ragazzino a Molfetta vedevo Totò e Macario, ma a 17 anni, mentre studiavo al liceo e al Conservatorio di Napoli, fui folgorato da questo film e dalla sua profondità incredibile. Ho rincorso quella pellicola per anni, l’ho ritrovata a Philadelphia negli anni ’80 grazie a un professore di cinema che mi fece vedere anche Giovanna d’Arco e Ordet“. Un altro suo amore è Roma città aperta: “quando vedi una creazione di questo genere, sei orgoglioso di essere italiano. E’ un film di un grande come Rossellini, con grandi attori come Anna Magnani e Fabrizi. Crea commozione senza le tecniche raffinate con cui si contrabbandano oggi certe espressioni superficiali ma grazie a sentimenti veri”. Ha scelto anche Aleksandr Nevskij di Ejsenstein con le musiche di Prokofiev e in particolare la scena della battaglia sul ghiaccio e il canto funebre. “E’ interessante come lavoravano insieme questi due giganti. Certe volte il regista creava prima le immagini e il compositore scriveva poi la musica, altre volte succedeva l’inverso”. Ma questa musica è stata anche veicolo di un urlo per la libertà del matematico Natan Sharansky in occasione di una contestazione al regime sovietico durante un suo concerto. E tra le sue preferenze c’è anche un film pochissimo noto, Il nido di Jaime de Armiñán del 1980, dove uno strano personaggio donchisciottesco ascolta nella sua testa La Creazione di Haydn mentre va per i boschi.
Inevitabile l’excursus su musica e cinema. E qui Muti fa molti distinguo. “In Fellini e Rota c’è una simbiosi spirituale e culturale. Ogni volta che sentiamo la musica di Rota pensiamo subito a quel regista”. Ammira anche Ennio Morricone, “musicista vero come anche Piovani“. Ma il pensiero torna sempre a Rota, di cui fa ascoltare il celebre tema de Il padrino e che considera ingiustamente considerato dall’establishment come “uno dai motivetti facili, al pari di Puccini. Invece aveva la qualità di creare dei temi che restano”. E racconta che proprio il compositore lo esaminò al quinto anno di pianoforte ed ebbe una grande intuizione. “Era direttore del Conservatorio di Bari e mi disse che la commissione mi aveva dato dieci e lode: non per come hai suonato oggi ma per come potrai dirigere domani”.
Infine un accenno al futuro della musica: “Le migrazioni sono come un fiume che si arricchisce e porteranno a fondersi culture musicali diverse, il Sudamerica, l’Oriente, l’Africa: sarà linfa nuova e avremo un linguaggio più vicino alla comprensione della gente”.
E lascia il pubblico con una storiella che pochi conoscono. “Sapete perché non porto mai il cappello? Andai a Milano da Molfetta nel 1962 e mia madre che aveva paura che prendessi freddo mi calò in testa un enorme borsalino. Incontrai un compagno napoletano che mi disse ‘che ti sei messo? sembri Barriello… ‘o cazzo co’ cappiello”.
Mercoledì 18 novembre alla Casa del Cinema Giancarlo De Cataldo e Mario Sesti, insieme a Giorgio Gosetti, analizzeranno alcune scene del maestro del brivido. A introdurre l'incontro l'attore Pino Calabrese
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“Ho scoperto Verdone a casa, con i suoi personaggi visti e rivisti in tv, era diventato uno di famiglia. Sul set è un regista molto serio, scientifico, sa bene cosa vuole, anche se un terzo del film è improvvisato”, dice di lui l'attrice Paola Cortellesi protagonista alla Festa del cinema con l'attore e regista romano degli Incontri ravvicinati. Lui l’ha scoperta al cinema e in tv come attrice comica, brillante e anche drammatica: “è dirompente, abbiamo la stessa ironia e c’è una grande sintonia tra noi”. Presto li vedremo nei rispettivi film Gli ultimi saranno ultimi e L'abbiamo fatta grossa