Riabbracciare Parigi di Alice Winocour, distribuito da Movies Inspired, è in sala dal 9 novembre.
E’ un dramma intimista schietto, crudo, diretto. Basta guardare la scena dell’attentato, ricca di tensione, realistica, priva di commento sonoro e ovviamente ispirata alle vicende del Bataclan, dove si trovava il fratello di Winocour proprio quella terribile sera, di cui ricorre tra poco l’ottavo anniversario.
“Dopo l’attentato – dice la regista – Mia si ritrova in un limbo, estranea a sé stessa e alla città. Inizia così a fare un bilancio della propria vita con la vaga sensazione di doverla ripianificare e di dover cambiare qualcosa. Ma il titolo ha anche un significato più letterale: Mia rivede Parigi dopo il buco nero rappresentato dall’attentato. Va a rivedere Parigi da un diverso punto di vista per iniziare, quasi inconsapevolmente, un percorso di resilienza”.
Circa la traumatica esperienza del familiare, aggiunge: “Mio fratello era al Bataclan il 13 novembre. Mentre era nascosto, ho continuato, per una parte della nottata, a comunicare con lui via SMS. Il film è stato costruito sulla base dei ricordi di quell’evento traumatico e dal racconto di mio fratello nei giorni successivi all’attentato. Ho sperimentato sulla mia pelle come spesso la memoria possa demolire e ricostruire ciò che è accaduto. Nelle settimane successive agli attentati ho iniziato a frequentare i forum delle vittime che si erano raggruppate per settore ed è stato davvero impressionante vedere centinaia di persone che si cercavano, che tentavano di ritrovarsi o di ritrovare gli oggetti persi durante gli attentati. Tutti cercavano informazioni sulle persone con cui si trovavano, con cui avevano scambiato anche solo uno sguardo o qualche parola di sostegno…”
Ma non si tratta solo del trauma singolo. Esattamente come per una guerra, un evento simile genera un’intera comunità di sopravvissuti che devono gestire il proprio dolore:
“Ho incontrato una comunità forte di persone che insieme provavano a riprendersi dal trauma, a volte ritornando sul posto – continua Winocour – mi ha molto toccato l’idea che non è possibile ricostruire la propria vita da soli, ma che c’è bisogno di almeno due persone e di uno sforzo collettivo. Da qui il mio desiderio di realizzare un film corale con molti personaggi provenienti da contesti diversi. Ho incontrato psichiatri che mi hanno parlato del concetto di “diamante al centro del trauma”, ossia di tutte quelle cose positive che si verificano intorno a un evento traumatico: le amicizie, le relazioni sentimentali e i forti legami che si instaurano e che non si sarebbero creati senza l’evento stesso. Mi hanno anche parlato del “fenomeno del flashback” e del disturbo della “memoria ricorrente involontaria”, che è molto differente dal ricordo e dal classico flashback cinematografico. In questo caso, si tratta del rivivere un’esperienza traumatica passata, che involontariamente e all’improvviso fa emergere immagini mentali che irrompono nella coscienza, come una luce accecante, una sorta di lacerazione psichica. Il corpo che parla quando si è privati delle parole per esprimere la propria sofferenza. Nel film c’è anche un autoritratto, nel senso che ci ho inserito tutte le mie ansie e le mie angosce, proiettandomi nella figura di un soldato che ritorna dal campo di battaglia. Questo concetto di stress post-traumatico, così fortemente radicato in me, deriva dal mio retaggio familiare: non posso farci niente, ma sto cercando gradualmente di liberarmene”.
La pellicola è stata selezionata alla Quinzaine di Cannes ed è stata premiata con il Cesar per la miglior interpretazione femminile dell’anno.
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