Renato Casaro, o l’arte di disegnare il cinema

Alla Casa del Cinema l’inaugurazione della mostra dedicata all'artista che ha firmato i manifesti per i film dei più grandi registi del mondo, nell’ambito del ‘Fuori Festa’ di Roma 2024. L'intervista


Profuma di incenso!” Mi disse Bernardo Bertolucci quando gli chiesi se gli piaceva l’immagine che avevo preparato per il manifesto de L’Ultimo imperatore. Quando ci penso mi vengono ancora le lacrime agli occhi”.

Così Renato Casaro ci racconta uno dei tanti momenti legati alla sua decennale attività di ‘ultimo cartellonista del cinema’, concentrata nelle 41 locandine originali esposte alla mostra Renato Casaro, l’uomo che ha disegnato il cinema, inaugurata stamane alla Casa del Cinema di Roma e aperta gratuitamente al pubblico fino al 27 ottobre.

 

L’Ultimo imperatore è un film a sfondo politico”, continua l’artista, ma con Bertolucci decidemmo di disegnare un manifesto più ‘estetico’, non la bandiera rossa e il bambino come ad esempio avevano scelto gli americani per la campagna di lancio. Noi abbiamo optato per quest’immagine affascinante, con il mio aerografo che si è sposato benissimo con la luce studiata da Vittorio Storaro… In questo modo, nonostante il manifesto sia pieno di elementi, lui, il piccolo imperatore, è definito al massimo, emerge come primo elemento assoluto”.

Un altro capolavoro di grafica pubblicitaria per il cinema, che vede realizzata in un disegno la perfetta sintesi dell’anima del film, è il manifesto creato da Casaro per Il tè nel deserto, con la sua impeccabile divisione geometrica dello spazio: “è una scena che nel film non c’è” – ci spiega l’artista – ma c’è tutto il senso della storia, il succo, la summa assoluta dei suoi significati”.

Ma Bernardo Bertolucci è solo uno dei grandi registi italiani e internazionali con cui ha collaborato Renato Casaro per oltre cinquant’anni, dipingendo manifesti, locandine e giganteschi cartelloni stradali per i loro film più iconici: nella sala al primo piano di Casa del Cinema sono esposti titoli entrati a far parte dell’immaginario collettivo di più generazioni, anche grazie alla sua arte: solo la magia e la maestria della grafica pittorica espressa a questi livelli, infatti, poteva imprimere per sempre nella memoria, con quelle dell’Ultimo imperatore e Il tè nel deserto, le immagini che Casaro ha creato per Amici miei, Papillon, Balla coi lupi, La storia infinita, Amadeus, C’era una volta in America, e tanti altri ancora.

Non si vorrebbe mai smettere di ascoltare questo artista unico, che con gli occhi di un ragazzo racconta felice la sua vita lunga quasi 90 anni, dedicata a inventare una magia all’interno della magia, quella della settima arte: “Il film è il mio hobby. Il mio hobby è il mestiere. Il mestiere è la mia vita. E la mia vita è un film in technicolor e cinemascope”, sono le sue parole, scelte non a caso per il sottotitolo della mostra.

“Con Sergio Leone ho avuto un rapporto davvero speciale, mi stimava moltissimo. Mi conosceva bene, aveva apprezzato soprattutto i lavori che avevo fatto per i film con Terence Hill e Bud Spencer, e per Il mio nome è nessuno – sua era l’ideazione – mi chiamò per la prima volta. Poi ne seguirono tante altre – per un suo film disegnai anche gli storyboard – fino all’apice della nostra collaborazione, in cui mi chiese di disegnare il manifesto di C’era una volta in America: è uno dei miei lavori riusciti meglio, perché rispecchia l’atmosfera del film… senza svelarne nulla! E poi – forse sembrerò immodesto – è una mia creazione, dall’inizio alla fine: Leone mi lasciò carta bianca, io gli proposi due o tre schizzi e lui scelse questo, che era anche il mio ‘numero uno’”.

A che punto della lavorazione del film entrava in campo lei con il suo lavoro?

“Prima naturalmente arrivava il produttore, è lui che mi chiamava: poi il mio rapporto diventava sempre diretto, con il regista. E già dalla sceneggiatura si può iniziare a trovare qualche suggestione per il manifesto: in ogni caso prima che il film sia pronto, perché la pubblicità deve uscire subito… Spesso sono stato in moviola, o a vedere i montaggi giornalieri, ma soprattutto era importante il fotografo di scena, quello che ci forniva le foto dei volti: lui era la ‘fonte’ più importante. L’aerografo era il mio strumento vincente, poi alla base c’è il pennello e la tempera. Ma gli effetti magici sono quelli dell’aerografo, che creava i piani, la profondità, il fascino. È uno strumento che ho portato io nel cinema, negli anni ’80, tra i miei colleghi nessuno lo usava”.

C’è storia e storia del cinema. E ancora più in alto c’è Charlie Chaplin: lei ha disegnato anche il manifesto di un suo film.

Luci della Città è IL film”. Era uscito in Italia solo dopo la guerra, poi, dimenticato, lo hanno reimmesso nel mercato e io ho avuto l’onore e il piacere di disegnare il suo nuovo manifesto.

“Una soddisfazione più recente? La dedica che mi ha fatto Quentin Tarantino per il manifesto di C’era una volta a Hollywood”, chiosa Casaro. “‘Hai reso il mio film meraviglioso’, mi ha scritto”.

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“Questa mostra è itinerante: la prima tappa è qui, alla Casa del Cinema”, ci spiega Monica Vallerini, che ha curato l’esposizione con Elisabetta Pasqualin e Chiara Matteazzi, promossa da EGA Active con Ursula Seelenbacher. “Poi il percorso prosegue lungo Via Veneto, dove abbiamo allestito 24 manifesti iconici di Renato Casaro che abbracciano anche il cinema internazionale, con un effetto molto pop, e una miscellanea di stili e generi di film, compresi due James Bond, Sean Connery e Roger Moore”.  E tra loro c’è l’omaggio a un attore romano, Enrico Brignano, nei panni di un bizzarro 007, con il manifesto de Una commedia pericolosa”.

“Interpretare Una commedia pericolosa di Alessandro Pondi mi ha dato anche l’opportunità di conoscere il maestro Renato Casaro”, rivela sorridente l’attrice Paola Minaccioni, tra gli ospiti del vernissage: è un onore essere disegnata da lui, anche solo nei polpacci, perché io sono quella donna sdraiata a terra, sulla sinistra. Questa mostra è bellissima, restituisce tutto l’amore e l’artigianalità del cinema: l’impressione che mi rimane addosso è materica, perché il cinema che è l’arte della luce, ha dietro di sé tante persone che fanno cose materiche, artigianali”.

 

 

 

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