Robert Redford sta per gettare la spugna? Intervistato dall’Hollywood Reporter l’attore e fondatore del Sundance si è detto pronto a lasciare il festival del cinema indipendente che da oltre 35 anni ha luogo nello Utah a Park City. “A volte serve un cambio della guardia e questo riguarda anche me”, ha detto Redford. L’attore, che ha 77 anni e ha appena visto sfumare la candidatura all’Oscar per All is lost, ha aggiunto di nutrire una crescente ostilità nei confronti delle forze del business e del marketing che negli ultimi anni hanno trasformato il festival in qualcosa di molto diverso dallo spirito originario. “Come non posso non essere soddisfatto del successo del festival? Ma quei primi anni mi piacevano di più”, ha detto l’attore, che non sovrintende da anni alla selezione dei film ma resta presidente del consiglio di amministrazione e si consulta regolarmente con i responsabili della programmazione. Secondo Redford è cambiato qualcosa in peggio: “Hanno tolto le qualità che garantivano a chi veniva qui un senso di intimità. E questo non mi piace”. Il protagonista della Stangata ha fondato il festival nell’agosto 1978 come alternativa indipendente alla vocazione commerciale di Hollywood: il nome Sundance, assunto nel 1991, viene dal suo personaggio in Butch Cassidy and the Sundance Kid, ma è anche quello una località sciistica dello Utah. La rassegna cinematografica ha portato alla ribalta registi diventati da allora famosi, da Kevin Smith a Quentin Tarantino e Jim Jarmusch.
Quest’anno, in un programma che si snoda in tre località fino al 26 gennaio, saranno proiettati 121 film da tutto il mondo, tra cui la commedia musicale Frank con Michael Fassbender, Boyhood, un dramma girato a intervalli nell’arco di 12 anni da Richard Linklater, e Trip to Italy, il documentario gastronomico di Steve Coogan e Rob Brydon che fa seguito all’acclamato The Trip. Non è la prima volta che Redford accusa i suoi successori alla guida del Sundance: “Siamo una organizzazione no profit, dovremmo occuparci di film indipendenti e di gente che non ha una chance. Dobbiamo ritornare ai nostri valori”, aveva detto l’anno scorso al Guardian: “Non possiamo diventare una Berverly Hills”.
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