CANNES – La regista Wanuri Kahiu, formata presso la UCLA di Los Angeles, rappresenta una parte della nuova generazione di autori africani. Dopo 10 anni dal suo pluripremiato esordio nel lungometraggio (From a Whisper, 2008), Kahiu non passa per la prima volta a Cannes, era infatti il 2009 quando approdava con il corto di fantascienza Pumzi: quest’anno arriva sulla Croisette, sezione Un Certain Regard, con Rafiki, storia di due giovani donne, Kena e Ziki, che vivono nello stesso quartiere a Nairobi. La vita è veloce, e loro devono scegliere tra l’amore e la tradizione.
La regista racconta il film come il desiderio di mostrare: “una bella storia d’amore africana. Un onore immenso essere a Cannes, un’occasione importante per gli interpreti, la troupe e il cinema kenyota”. Il titolo, Rafiki, “significa ‘amico’ in Swahili, e spesso quando le gente kenyota dello stesso sesso ha una storia, o vuole presentare un fidanzato, un amante, una persona che frequenta, usa ‘rafiki’ come parola”, continua Kahiu.
Musica tutta voce femminile e palpitare di bassi per i titoli di testa – visivamente pop/collage – e per le prime sequenze di Rafiki, tra colori e dettagli d’ambiente della periferia di Nairobi: l’accompagnamento musicale, non solo una scelta estetica e narrativa d’apertura, ma una compagnia costante per tutta la storia, passo per dettare i gradini ascendenti della vicenda.
Androgina ed asciuttissima Kena (Samantha Mugatsia), più femminile e con un’onirica cascata di rasta arcobaleno Ziki (Sheila Munyiva): le due protagoniste s’innamorano confrontandosi con e sulle tradizioni del loro Paese, scontate per le famiglie e il contesto sociale, addirittura da far divenire la loro storia di interesse collettivo, come se un rapporto fosse cosa di tutti, tanto da concretizzarsi in una sorta di linciaggio prima e in preghiera comunitaria, al limite dell’esorcismo, poi.
Fondamentale l’interpretazione delle due attrici decisamente convincenti, sempre delicate ma scolpite nel proprio ruolo. “Prima ho incontrato Samantha – spiega la regista. Era ad una festa di amici e somigliava esattamente a come mi ero immaginata Kena. Non sapevo nulla di lei, ma presto saltò fuori che era una batterista. Ero molto entusiasta quando ha accettato di partecipare al provino e quando poi ha confermato il ruolo. So che non è semplice in Kenya recitare una parte del genere, ma Sam non ha rinunciato e ha abbracciato il progetto, contribuendo a costruire Kena e a farla vivere. Sheila invece è arrivata al provino piena di gioia di vivere. Era affascinante, curiosa e il suo aspetto perfettamente complementare con quello di Samatha. Lei all’inizio era perplessa per il ruolo, ma alcune persone amiche, sensibili alla questione, le hanno fatto capire l’importanza della parte, così ha accettato”.
Un furgoncino bianco, abbandonato ma abbracciato da splendide bouganville viola, prende il ruolo dello scrigno custode del sentimento, complice un temporale improvviso sotto il sole: è il momento perfetto per sentire quella tensione che annuncia silenziosa la nascita di un amore, ma Kena lo disturba perentoria, con un lucidissimo: “Io devo andare”, seguito dal passo d’allontanamento. Un gesto nel nome delle aspettative della società, famigliare e tutta, ma non di certo del credo personale che, infatti, non tarda ad imporsi, sulle note di un brano che intona: “Se c’è una ragione per l’amore…”.
Una storia d’amore astratta dalla sua appartenenza di genere, piuttosto universale: convincente scelta artistica che mai indugia su possibili morbosità, supportata anche da una recitazione sempre per sottrazione, seppur decisa, in cui l’istinto si fa palpabile, senza scadere in pruderie fini a se stesse.
E infine la fuga, geografica per Ziki, di immersione nel mestiere di medico per Kena, l’unica opzione possibile per sfuggire ad una storia non accettata, quindi impossibile: eppure il destino è circolare, e tutto torna al proprio posto, come a tornare è Ziki, nel suo quartiere, dal proprio amore. E di nuovo la musica chiude la sequenza finale, con parole che non lasciano spazio alla sconfitta del cuore: “Cammina per me sopra l’orizzonte…”.
Rafiki, una coproduzione afro-nordeuropea: il film nasce d’ispirazione letteraria, dal racconto Jambula Tree, dell’ugandese Monica Arac de Nyeko: “il miglior libro che abbia letto negli ultimi anni”, ha dichiarato la regista.
Nel team dei selezionatori troviamo l'italiano Paolo Bertolin, già attivo come consulente della Mostra di Venezia, insieme a Anne Delseth, Claire Diao, Valentina Novati e Morgan Pokée.
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