Le immagini sono bellissime e agghiaccianti, ma quel finale lascia interdetti, con la contaminazione rischiosa tra documentarista e soggetto del documentario. Lo sa bene Luca Ferrari, autore di Pezzi: “Si è superato un limite che ha compromesso il mio punto di vista e il mio ruolo neutrale di osservatore. Mi sono reso conto, infatti, di essere diventato un piccolo pezzo di una storia che ho raccontato per più di un anno. Senza mai chiudere gli occhi”.
In quella scena Massimo detto er Pantera, strafatto di cocaina come sempre, se la prende con Bianca, la sua compagna, solo perché lei ha chiesto a Luca di spegnere la telecamera puntata su di loro da settimane. Il film sta addosso alle esistenze di Massimo e Bianca, come di Stefano, Rosi e Giuliana. Tutti abitano al Laurentino 38, nella periferia più cupa di Roma. Tra storie di galera, spaccio, accoltellamenti, patologie gravi e malcurate, figli abbandonati dai padri e madri che ancora piangono il figlio morto troppo presto. La cocaina entra in campo, come in un film di Quentin Tarantino, e anche il turpiloquio e la violenza spicciola. Solo che qui è tutto vero.
Il documentario, in concorso nella sezione Prospettive Italia, è l’evoluzione di un reportage che Ferrari, fotografo di formazione con studi in Inghilterra, ha potuto realizzare proprio grazie alla lunga frequentazione con i suoi ‘personaggi’. “Il passo dall’immagine fissa a quella filmata è stato naturale, aiutato dal caso e dalle nuove tecnologie, grazie alle quali è stato possibile lavorare praticamente senza troupe e con una macchina da presa non invadente”, spiega.
Da tre anni Luca conosce er Pantera, perfetto rappresentante di questa umanità a pezzi. Massimo gestisce la ‘bisca’, un bar dove si vendono alcolici e dove si gioca con le slot machine. Attorno alla bisca gravitano tante storie, tutte legate al carcere. Dove anche Massimo e Bianca si sono conosciuti, scrivendosi tante lettere, lui piene di dettagli osceni, lei di disegni infantili.”Le loro storie – racconta ancora Ferrari – sono pezzi di vita, ai quali non ho voluto né potuto dare un senso di una narrazione classica e compiuta”. Frammenti che arrivano sullo schermo grazie alla Relief (di Valentina Avenia, Valerio Mastandrea ed Edoardo Lardera) e di Samuele Pellecchia per Prospekt Photographers, che hanno prodotto il doc distribuito da Vivo Film.
Se i protagonisti di Pezzi il carcere se lo portano sotto pelle anche se ne stanno fisicamente fuori, Milleunanotte, altro documentario di Prospettive Italia, ci porta dietro le sbarre, come sempre più spesso il cinema italiano fa, da Christian Carmosino a Vincenzo Marra (ci si dovrebbe chiedere seriamente perché). Marco Santarelli ha scelto il Penitenziario della Dozza di Bologna per esplorare la situazione esplosiva di strutture sovraffollate. Sono 206 le carceri in Italia con una capienza di 45.849 persone e una presenza effettiva di 66.568 detenuti. Il 36% sono stranieri, soprattutto marocchini, romeni, tunisini e albanesi. I suicidi sono stati 736 dal 2000 al 2012, 52 dall’inizio dell’anno. L’ultimo quattro giorni fa. Un uomo di 31 anni, originario della Repubblica Dominicana, ha costruito una specie di corda con i lacci delle scarpe e si è impiccato alla finestra della sua cella. Proprio nel carcere bolognese doveva scontare una pena di 5 anni per traffico illecito di stupefacenti. Della vita quotidiana ‘dentro’, tra le storie personali dei detenuti e i labirinti burocratici delle ‘domandine’, parla il film prodotto da Pulsemedia con Ottofilmker. Tra le storie raccontate c’è quella di Agnes, che ha ottenuto un permesso di 5 giorni per tornare a casa, in Alto Adige, di Miriam che ha preferito tornare in carcere piuttosto che disintossicarsi perché così puoi dividere la cella con la sua compagna Vivian, di Armand, un giovane albanese finito dentro con la fidanzata italiana che vede due volte al mese per il colloquio e sposerà in galera. Sotto l’obiettivo anche le mediatrici culturali Fatima e Zackia che traducono e confortano. Tra gli stranieri c’è Ibrahim, che rifiuta le medicine, fa lo sciopero della fame, si è riempito il braccio di ferite. “Ho passato sei settimane filmando i colloqui con i detenuti, le celle e la sezione dove si trova chi è in attesa di giudizio e dove si concentrano le storie più drammatiche”, racconta Santarelli. Che ha intrapreso questo viaggio doloroso grazie all’incontro con Ignazio, un monaco che è tra i tanti volontari del Dozza. Tiene lezioni sul Corano e insegna l’arabo ai maghrebini analfabeti.
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