Quarto potere, quello che Jorge Louis Borges chiamava un capolavoro del “giallo metafisico”, ruota – come si sa – intorno a una falsa domanda che trova risposta solo nella mente del protagonista indiretto: il Citizen (Charles Foster) Kane. L’appassionato di storia del cinema ancora oggi non capisce se la parola Rosebud evochi più la “madeleine” solipsista del tycoon morente o il famoso scherzo orchestrato da Orson Welles ai danni di chi – Steven Spielberg la vittima più famosa – comprò a sconsiderati pezzi d’asta la slitta resa celebre dal film. La famosa slitta Rosebud “Rosabella” che nel sottofinale di Quarto potere va al rogo, ma di cui era stato costruito più di un esemplare per esigenze della produzione. Quella slitta che assomiglia alle reliquie di un santo qualsiasi, ritrovabili nelle chiese di mezza Europa, ma ogni volta vendute a prezzi d’antiquariato al potente locale (o re, o cardinale) che mediante la reliquia pensava di garantirsi memoria eterna. Il primo interrogativo insomma resta: quante slitte ci sono ancora in giro? Il secondo è tutto interno al film cavolavoro, giacché il regista adotta una struttura di racconto totalmente inedita che poi Kurosawa codificherà ai tempi di I sette samurai: ciascuno afferma la propria verità ma chi ci assicura che quel che viene detto o mostrato sullo schermo sia la verità? Di certo non la seconda moglie, il braccio destro, l’amico più fedele, il maggiordomo di Kane, tutti intervistati dal coscienzioso cronista Jerry Thompson per sciogliere un enigma che -comunque – non avrà risposta certa. “No Trespassing” dice il cartello d’accesso al castello di Xanadu a inizio e fine film: poi però capiremo che tutto il cinema di Orson Welles ruota intorno a una realtà inafferrabile oltre cui non si può andare perché di fatto è un’illusione, un falso che risulta più vero del vero.
“E’ tutto vero” avrebbe detto Orson Welles qualche anno dopo, firmando in Brasile l’incompiuto “It’s all true”, ma si sarebbe poi definito un “illusionista” che legittima per primo il falso, nella sua opera più significativa e autobiografica F for Fake (1987). A voler fare della biografia psicanalitica bisogna evocare Il dottor Maurice Bernstein, vecchio amico di famiglia dei Welles, che quando aveva nove anni stimolò nel ragazzo l’amore per il teatro, regalandogli una lanterna magica, una scatola di colori e un teatrino di marionette, con i quali Orson iniziò a cimentarsi nella messa in scena di spettacoli tutti suoi, nei quali fornì di volta in volta la voce a tutti i personaggi. Un anno dopo Welles diresse e interpretò il suo primo spettacolo scolastico a Camp Indianola, “Il Dottor. Jekyll e Mr. Hyde”.
Fantastico reinventore di se stesso, Il mago Orson raccontò che era stato Houdini, “il più grande uomo di spettacolo del suo tempo” e frequentatore della casa paterna, a insegnargli le prime tecniche del prestidigitatore. Verità o funzione, è certo che a fare il Mago era bravo e questo lo salvò a più riprese dalla povertà e dalla voglia di lasciare tutto. Senza le serate da illusionista non avrebbe portato a termine Othello, senza la passione per il gioco degli specchi non avrebbe saputo come chiudere La signora di Shanghai, senza l’ossessione di capire l’inconoscibile di Kane non avrebbe immaginato il sulfureo “Mr. Arkadin” e senza l’esperienza del teatro la sua fantastica collezione di “nasi” (sì, avete letto bene, era quello il primo mattone del suo ossessivo trucco con cui, volta a volta, faceva nascere protagonisti sempre diversi) non avrebbe avuto senso.
Il doppio, l’anima segreta dei miti tra letteratura e teatro, l’effetto che scatena la fantasia, la “quarta parete” da infrangere con la profondità di campo della cinepresa e gli scorci d’inquadratura: tutto e molto altro è il teatro magico del cinema di Welles – che di anni ne aveva 25 quando diresse Quarto potere – fin dal suo pendant radiofonico con “La guerra dei mondi” e le funamboliche prove del Mercury Theatre. Non ha senso negare che esiste un cinema prima e dopo Citizen Kane. Ma riesce difficile raccontare a uno spettatore di oggi il gigantismo di quell’opera prima se non si raccontano le mille leggende che Big Orson ha sapientemente creato intorno al suo personaggio. Certo si può guardare Quarto potere di Orson Welles dal punto di vista sociologico, politico, profetico. Ma in fondo che cos’è quel gran teatro di Xanadu se non la fantasia di un illusionista che chiude il suo passato in mille casse e senza avere avuto mai il tempo di capire se ha comprato falsi o capolavori? Proprio come la sua vita.
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