Delle sue doti da regista aveva già dato prova nel 2007 con Gone Baby Gone e nel 2010 con The Town. Ma per Ben Affleck, Argo, in uscita l’8 novembre in 300 copie con Warner Bros. rappresenta l’occasione per confermarsi narratore abile, riuscendo a ritagliarsi anche un ruolo in parte in una storia che sembra incredibile ma non lo è affatto. E’ basata su fatti reali, infatti, la cronaca di un’azione segreta che ha visto la CIA metter su un film fittizio con la collaborazione di Hollywood e lo scopo di liberare sei cittadini statunitensi durante la crisi degli ostaggi in Iran, nel 1979. Gli eventi, desecretati da Bill Clinton, sono desunti da un articolo di ‘Wired’ e soprattutto dal saggio The Master of Disguise, scritto da Antonio Mendez, l’agente segreto protagonista a cui Affleck presta corpo e volto, ben lontano dallo stereotipo dello 007 di ferro.
“Per un film tratto da una storia vera – dice Affleck – ci sono due responsabilità da tener presenti: creare empatia tra personaggi e pubblico, e attenersi alla realtà. Avremmo potuto farne una miniserie. Ma più che un film politico, è un omaggio a chi, per salvare altre persone, si sacrifica mettendosi alle spalle anche la propria famiglia. La voce fuori campo di Carter mi è servita solo per tornare indietro di 30 anni, a livello di atmosfera. Non mi interessa dire se il cinema sia in grado di salvare il mondo e le persone, è solo una forma d’arte che garantisce la piena espressione di un individuo, e principalmente deve emozionare. Amo il mio paese, ma in maniera molto pragmatica, da sempre sono interessato ai legami umani al di là di quelli che sono i confini nazionali”.
Ma, con un tema del genere, è impossibile non parlare di politica: “L’Occidente ha chiuso un occhio sulla corruzione e la repressione dei dittatori ‘amici’, non si può non pensare a Mubarak e alla ‘rivoluzione verde’ dell’Iran – dichiara ancora Affleck – e la cosa ironica è che questi moti hanno ereditato molte delle caratteristiche della rivoluzione islamica, sebbene il bersaglio sia proprio Ahmadinejad. Ho girato il film in Turchia e non ho trovato un solo iraniano disposto a recitarvi, temevano conseguenze per sé stessi e per le loro famiglie. Non è solo fiction: il regime lì è davvero ‘stalinista’. Sono rimasto sorpreso e intristito per l’attacco al consolato di Bengasi, è triste constatare che la storia si ripete. Non siamo molto lontani dagli eventi narrati dal film”.
Ma la pellicola è anche un omaggio affettuoso a un certo cinema, quello dei mostri e degli effetti speciali, delle lande esotiche e delle regine spaziali seminude. Argo – parliamo ora del film nel film, che ha il medesimo titolo – è una specie di reimpasto di Star Wars, Star Trek, Il pianeta delle scimmie e Dio solo sa cos’altro. Alan Arkin e John Goodman interpretano rispettivamente un produttore e un truccatore, menti creative dietro al progetto di esfiltrazione. Lo fanno magistralmente e in maniera piuttosto critica (“Anche un macaco può imparare a fare il regista in due giorni”, dice Goodman in una divertente sequenza). “Non posso proprio dire che a Hollywood siano tutti cialtroni – scherza Affleck – anche perché altrimenti non potrei tornare a casa. I miei sono personaggi archetipici, ma c’è un fondo di verità. Hollywood è come Washington: ognuno ne sfrutta i vantaggi. E’ il prodotto della competizione, ma io ho anche dei buoni amici che non mi riempiono di bugie. Presumo comunque che qualche scimmia a Hollywood giri davvero. Magari anch’io lo sono!”. Tra i produttori, figurano anche Grant Heslov e George Clooney.
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