VENEZIA – “Vorrei sparire senza morire”, una riflessione, un desiderio, un titolo. Quello del doc realizzato da una troupe di allievi dell’Università IULM di Milano – da un’idea di Gianni Canova, il rettore dell’ateneo – con protagonista Pupi Avati.
Un documentario – prodotto da IULM MOVIE LAB, con la partecipazione di DUEA Film – che è un’autobiografia e una lezione di cinema insieme, in cui il regista bolognese parla di gioie e dolori del suo mestiere, dialogando con la telecamera.
Tra lo studio romano di Avati, seduto dietro alla sua storica scrivania, con alle spalle decine e decine di fotografie della sua vita d’autore, sulle note e le immagini della “sua band” bolognese – Dr.Dixie Jazz Band – apre il film, subito a restituire l’essenza della vita dell’uomo Avati, fatta di cinema e di musica, arte che definisce “un momento di gioia assoluta della mia vita”; queste sono tra le primissime parole di questo suo racconto – accompagnato da quello di suo fratello Antonio -, che poi procede per chiese e cimiteri.
S’incammina, infatti, da San Leo – che ha ispirato la “singolare favola” del prete-donna de Il signor diavolo (2019) – in cui “ci sono raccolti, riuniti, radunati, ritrovati la gran parte delle persone della mia famiglia … alle quali vorrei dedicare una parte di questo racconto”. Così Avati introduce il tema del rapporto con la Morte, “nella cultura contadina, un rapporto molto, molto particolare, molto speciale. È presente la morte dentro la vita: si parla della propria morte con grande indifferenza, addirittura con divertimento”, sentimento – tra gli altri – che fa vivere nel suo cinema, tra il possibile e l’impossibile, nel fantastico universo dell’umano, cui Avati è “profondamente affezionato”.
“Io mi trovo spessissimo a pensare alla morte, alla mia morte, a come potrà essere la mia morte … nei riguardi soprattutto di chi mi sopravviverà”, continua Pupi Avati, dialogando con la camera: “Mi piacerebbe sparire senza morire”, per risparmiare a chi resta il dolore della perdita, seppur sia consapevole sia “richiesta assolutamente impossibile”.
Man mano, s’arriva poi nella sede del sogno – così dell’essenza più realistica, al contempo – quella del set, quello dell’ultimissimo suo film prodotto e distribuito, Lei mi parla ancora (2021), entrando là dove l’essenza dell’onirico si fa vita – non solo per Avati – nella Fabbrica dei Sogni, Cinecittà, Teatro n.4: “Girare in teatro – questo i grandi maestri ce l’hanno insegnato – ci permette di dare un’intimità” nel silenzio di una presa diretta ideale, potendosi muovere tra pareti senza vincoli, infatti, “a me piace immensamente girare in teatro, mi sembra che sia più cinema”, afferma con un trasporto capace di tirar con sé anche lo spettatore.
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