PROGETTO EURODOC


Se un politico dice che “il documentario avvicina alla verità, ed è il vero cinema”, possiamo credergli. Queste parole sono di Richard Miller, ministro delle arti del Belgio e ora presidente alla cultura della comunità europea, che ha introdotto, con Alberto Barbera e Stefano della Casa, un progetto curato dal coordinamento dei festival europei intitolato “EuroDoc”. L’iniziativa è il “secondo tempo” di “15 x 15″ di due anni fa che ebbe luogo sempre qui a Venezia, in cui vennero presentati 15 film dei 15 paesi appartenenti all’associazione. Ora la stessa iniziativa si orienta verso il documentario: “Sarà un’operazione calibrata, che conterrà sia vecchi che nuovi documentari, e verrà presentata nelle tre prossime edizioni della Mostra del Nuovo Cinema a Pesaro, con dieci film all’attivo per ogni anno”, ha dichiarato Stefano Della Casa.
Ad aprire la presentazione del progetto a Venezia doveva essere il corto di Luchino Visconti intitolato Appunti su un fatto di cronaca ovvero il breve racconto di un delitto nella borgata Primavalle a Roma, col commento di Vasco Pratolini. Tuttavia, “la pellicola – spiega Della Casa – è stata dispersa da qualche spedizioniere, quindi non è visibile”.
Così, il film inaugurale è stato Misère au Borinage di Joris Ivens e Henri Storck. Questa produzione del ’33 racconta per sole immagini, cioè nel più totale silenzio, la storia della grande crisi economica che attanagliò il mondo negli anni trenta e, in particolare, mette a fuoco le tristi condizioni di vita dei minatori belgi nell’omonima regione del Borinage, che si trova in Vallonia. Salari che scompaiono, ufficiali giudiziari che portano via i mobili per sanare i debiti insoluti, case che rimangono senza imposte perché gli operai le usano come legna per il fuoco. Immagini tanto dense quanto – esteticamente – “alte”: le persone in mezzo alla sporcizia e alla povertà sembrano dei quadri di Caravaggio pieni di sofferenza, mentre lo stile cinematografico è a metà strada fra fiction e documentario (gli operai riproducono le proprie condizioni di vita di fronte alla macchina da presa che li riprende, quindi “fingendo la realtà”).
Il film seguente è stato Les enfants du Borinage del giovanissimo Patric Jean. Si tratta di una profonda videolettera del regista a Henri Strock mentre ritorna negli stessi luoghi mostrati dal film del ’33 per scoprire che nulla è cambiato. Anzi, tutto è peggiorato se confrontato al progresso nelle altre città del Belgio: solo una chiesa è stata edificata rispetto ad allora, mentre le case rivelano le stesse muffe e le stesse pareti cadenti, la stessa infinita povertà (gli scuri vengono sempre divelti per farne legna da fuoco), coi bambini ancora ammalati di analfabetismo (pochi sono gli insegnanti che lottano contro questa piaga). La pellicola mostra i giovani che non riescono ad inserirsi perché non sanno né leggere né scrivere e non conoscono un mestiere. In tale situazione la classe politica che non fa nulla, si limita a descrivere in maniera fredda, asettica e distaccata il dramma della regione: “Ci sono meno poveri di un tempo, anche questo è un progresso sociale”, ha il coraggio di affermare un burocrate senza nome. A fargli da contraltare è la dichiarazione di ex minatore che parla alla macchina da presa di Jean: “Chi non ha fame non può capire chi ce l’ha”. E l’occhio meccanico in questo splendido documentario “classico” non è mai invadente, né prevedibile, né demagogica.

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03 Settembre 2001

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