Premio Petri, Paola Pegoraro: “Glielo regalarono gli operai, lo avrebbe ritirato perfino a Hollywood!”

L’intervista alla vedova del regista premio Oscar, alla vigilia della V edizione del Premio.

Premio Petri, Paola Pegoraro: “Glielo regalarono gli operai, lo avrebbe ritirato perfino a Hollywood!”

Uno studio dove sembra ancora di vederlo, seduto alla sua scrivania.

Al sesto piano di una bella casa sul Lungotevere, con una terrazza che affaccia a 180 gradi sulla città eterna, entriamo in punta di piedi nel luogo mitico dove Elio Petri, il grande regista, scrittore e sceneggiatore scomparso prematuramente nel 1982, immaginava e creava la sua Arte. Libri e locandine di film ovunque, e messa lì, tra un volume e l’altro, anche la statuetta delle statuette: l’Oscar al miglior film straniero che Petri vinse nel 1970 con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.

È qui che incontriamo Paola Pegoraro, che sposò Elio Petri nel 1962 e dopo la morte del regista, grazie alle sue competenze e a un lavoro incessante, ha curato il patrimonio filmico e documentale del marito, per tenere viva la conoscenza della sua opera. Produttrice e figlia del produttore cinematografico Lorenzo Pegoraro, a lei si deve il film documentario Elio Petri – Appunti su un autore di Federico Bacci, Nicola Guarneri e Stefano Leone (2005), e un libretto che contiene l’ultimo trattamento del regista, Andamento stagionale, il docufilm che vinse il premio Pasinetti a Venezia. Nel 2007 ha curato inoltre il testo Lucidità inquieta. Il cinema di Elio Petri.

“Il Premio Petri è molto importante, perché Elio è stato dimenticato completamente per tanti, troppi anni” – ci racconta la vedova del regista (ritratta nella foto col marito). “Solo nel 2004, dopo la pubblicazione di Roma ore 11, i cineasti ricominciarono a parlare della sua opera. Non era un personaggio facile da acchiappare, né lo è parlare di lui, morto giovane, a 53 anni, dopo aver fatto già una decina di film”.

Parlando di premi, in effetti, è noto come Elio Petri in vita li abbia sempre ricevuti senza dar loro troppa importanza. È scritta nella storia, infatti, proprio la sua assenza alla premiazione di quell’Oscar nel 1971, una cerimonia che il regista definì sulla stampa ‘imbarazzante’. E quasi altrettanto celebre, lo stesso anno, la ‘fuga’ per protesta di Petri e Volontè dall’allora ‘Mostra del Cinema Libero di Porretta Terme’, al termine della contestata anteprima mondiale de La classe operaia va in paradiso, per recarsi a un dibattito organizzato dagli operai di una fabbrica del territorio.

Può raccontarci la storia così personale di questo Premio prestigioso e dell’oggetto che lo rappresenta?

“Ha la forma di un albero di Natale ma è proprio un pezzo meccanico, che faceva parte dei componenti prodotti in quella fabbrica” – ci spiega Paola Petri tenendolo tra le mani, mentre ci legge i nomi e le cose che vi sono incise. “C’è scritto ‘Natale ’70, ricordati di noi’, perché Elio aveva finito di girare La classe operaia va in paradiso proprio nel periodo in cui iniziavano le vacanze di Natale. E alla fine delle riprese gli stessi operai, che Elio aveva fatto recitare al fianco degli attori ‘veri’, ebbero il pensiero carinissimo di ‘fargli’ questo regalo, nel vero senso della parola. E sotto ci sono le firme, i loro nomi, anzi i cognomi degli operai. Così quando gli organizzatori del Premio, nel 2019, sono venuti da me per definirne meglio l’idea, io ho proposto di ispirarsi a questo oggetto”.

Il Premio Petri di oggi, infatti, è realizzato dagli operai della DEMM, quella stessa fabbrica che nel 1971 organizzò il dibattito dove il regista e il suo attore ‘preferito’ si recarono al termine della proiezione, e si ispira proprio al regalo che il regista ricevette a Natale dai lavoratori della Ascensori Falconi di Novara, dove invece aveva girato il film.

Non è un caso quindi che le candidature al Premio, a tutt’oggi, debbano essere “opere contemporanee in cui sia evidente, ma non necessariamente esplicito, il lascito dell’eredità autoriale di Petri (…), prodotti culturali che sappiano coniugare tematiche di denuncia sociale e politica ad un elevato tasso di originalità nell’uso del linguaggio cinematografico”.

“Questo premio Elio forse lo sarebbe andato a ritirare perfino a Hollywood (ride). Di sicuro sarebbe proprio contento che quest’oggetto, che tanto gli piaceva e con quel che significa, sia oggi diventato un premio per i giovani cineasti” – aggiunge la signora Petri, alla quale si deve l’esistenza stessa del Premio, grazie alla sua grande volontà e al prezioso lavoro per riportare negli anni la cinematografia del marito tra i giovani, scuole comprese.  “Sì, io e anche gli organizzatori del Premio abbiamo fatto un grande lavoro, ma Elio si sarebbe meritato un po’ di più. Mi dispiace che si parli così poco di lui, nonostante i preziosi restauri della Cineteca Nazionale e della Cineteca di Bologna, per quanto riguarda l’Italia” – continua. Di lui si parla meno che di tutti gli altri: meno di Rosi, di Monicelli, di Ferreri, di Peppe De Santis… per quanto anche loro si siano dedicati a un certo tipo di cinema ‘impegnato’. Elio e tutti loro hanno avuto una grande fortuna, quella di lavorare in un periodo in cui il cinema era ancora qualcosa di miracoloso, e poi era una grande comunità, erano tutti amici, amici veri”.

Secondo lei qualcuno tra i registi italiani di oggi potrebbe raccogliere il testimone di Elio per quanto riguarda racconto del lavoro?

“Non mi viene in mente nessuno in particolare, eppure oggi in tema di sfruttamento in fabbrica e fuori dalla fabbrica, sì che si è andati ‘avanti’ – chiosa. Ma a me dispiace soprattutto che i ragazzi non conoscano il cinema di Elio! Ecco, la cosa più importante in assoluto, quella a cui terrei di più, e sulla quale anche le istituzioni dovrebbero fare la loro parte, è che il cinema di Elio possa essere visto dai ragazzi”.

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18 Ottobre 2023

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