Esce il 20 febbraio con 01 il kolossal statunitense Pompei, diretto dall’esperto di action Paul W. S. Anderson. Tra Titanic e Il gladiatore, il film si presenta come un peplum-drama solido e ritmato, dai toni seri e cupi, scevro dagli anacronismi che hanno caratterizzato la precedente produzione del regista come ad esempio I tre moschettieri.
Gli spettatori e soprattutto i critici italiani faranno fatica a digerire la spettacolarizzazione della tragedia che ha sconvolto la città campana nel 79 d.C.: la ricostruzione della città, ancorché curata, è assolutamente inesatta dal punto di vista storico, il mare si trova dalla parte sbagliata, il Vesuvio è più grande di quello che dovrebbe essere. Ma d’altro canto queste non sono che le leggi di Hollywood, e il problema è solo locale e tutto nostro. Nessuno si preoccupa, ad esempio, della disposizione inesatta sul territorio delle tribù irochesi ne L’ultimo dei Mohicani. Sullo sfondo della catastrofe, Pompei mette in scena l’amore impossibile tra Milio (il Kit Harington de Il Trono di Spade), uno schiavo diventato un invincibile combattente da arena, e Cassia (Emily Browning), figlia di un ricco mercante che è stata però promessa a un corrotto senatore romano (Kiefer Sutherland).
“Sono sempre stato affascinato dall’Impero romano fina da quando ero bambino – racconta il regista – Sono cresciuto nel nord dell’Inghilterra, dove ci sono tanti scavi, e ho iniziato a interessarmi della civiltà romana e in particolare di Pompei. L’idea che una città e i suoi abitanti siano rimasti irrigiditi nella posizione in cui sono stati sorpresi dall’eruzione mi intriga ancora. Pompei era una sorta di Las Vegas dell’antichità, piena di bordelli, osterie, taverne e tutto ciò che poteva permettere di trascorrere belle vacanze. Poiché era un porto di mare, era frequentata da gente che veniva da tutti i luoghi più remoti dell’impero, brulicava di vita e ospitava le attività più pittoresche. E proprio l’immaginare chi fosse quella gente e raccontare le loro storie è l’origine del progetto”. A cui viene aggiunto uno spettacolare 3D, che permette, per fortuna solo per finta, di provare cosa significa essere travolti dalla lava e dai lapilli.
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