“Poliziotti violenti, ma non parliamo della Diaz”


Tra poliziotti e criminali, a volte, non c’è poi tanta distanza. Specie al cinema, dove dal 27 gennaio arriverà A.C.A.B. – All Cops Are Bastards (un titolo che è tutto un programma, ripreso da un celebre motto skinhead degli anni ’70), film sulla realtà dei ‘celerini’, vista dall’interno, che condivide con il celebre serial Romanzo criminale sia il regista Stefano Sollima che uno degli interpreti, Andrea Sartoretti. Un altro, poi, Pierfrancesco Favino, era stato il “Libanese” nel film di Michele Placido, che alla serie tv ha dato origine.

Alla base di A.C.A.B., invece, distribuito da 01 in 300 copie, c’è il romanzo di Carlo Bonini, che interviene a Roma insieme al regista e agli altri interpreti Marco Giallini e Filippo Nigro per accompagnare la presentazione della pellicola. “Il film è fedele allo spirito del libro – dice Bonino -si tratta di mettersi dietro alla visiera di plexiglas dei poliziotti e affrontare la durezza del tema da un punto di vista diverso. Chiaro che poi l’immagine amplifica l’effetto, dato che si parla di odio, una parte di noi che generalmente scacciamo…”.

 

Inevitabile una riflessione: a Berlino è atteso Diaz – Don’t clean up this blood, la pellicola di Daniele Vicari sulla tragica aggressione della polizia verso i manifestanti avvenuta nel corso del G8 di Genova. Qualcuno chiede se A.C.A.B. voglia fare in qualche modo da ‘contraltare’: “Quello che ho voluto fare – risponde Sollima – è fondamentalmente un film di genere, possibilmente intelligente. Certo, affrontiamo temi molto presenti nella nostra società, ma è un poliziesco”. E del resto, ai fatti della Diaz si riferisce direttamente uno dei protagonisti del film, il ‘Mazinga’ di Giallini, definendoli “la più grande cazzata della nostra vita, macelleria messicana”. “Però – dice Sollima – noi raccontiamo un’altra cosa. E’ un film sull’odio e la violenza nella vita di tutti i giorni, nella nostra società. E’ giusto che si parli del G8, ma in quel caso si tratta di un episodio occasionale”.

 

Dunque no, A.C.A.B. non è a favore di nessuno e contro nessuno, non giustifica la polizia né la criminalizza, cercando anche – impresa non facile – di non generalizzare: “Quello che ho capito lavorando a questo progetto – racconta ancora il regista – è che non si può parlare di ‘celerini’ come se fossero tutti uguali. Sono centinaia di migliaia di persone. Certo, ci sono delle attitudini, se devo mandare tre persone in mezzo a una mandria di tifosi imbufaliti non posso scegliere tre crocerossine. Ma non penso di aver criminalizzato nessuno, mi sono attenuto ai fatti, non c’è niente di male anche ad ammettere alcuni errori operativi, ma ho evitato uno sguardo troppo ideologizzato”.

In termini di genere, per usare le parole del regista, l’iconografia dei poliziotti chiusi a testuggine nei loro scudi e nelle loro armature, è classicheggiante e parecchio fascista, tanto che qualcuno li paragona, senza sbagliare troppo, alla falange oplitica spartana di 300. Però questi poliziotti nessuno li vuole: non li vogliono i tifosi con cui si scontrano fuori dagli stadi, non li vogliono i militanti di destra che li considerano ‘venduti’. E’ uno sporco lavoro, insomma – forse anche troppo, come potrà constatare la nuova recluta Adriano (Domenico Diele) – ma qualcuno lo deve pur fare.

 

“Pregiudizi ne avevo anch’io – dice Pierfrancesco Favino – ma quando affronti personaggi delicati in termini di morale pubblica il tuo approccio nei confronti delle cose cambia. Magari ti dichiari pacifista, e questo va bene finché qualcuno non bussa alla tua porta e non viene a minacciare la tua famiglia. Facciamo un mestiere in cui usiamo anche il corpo, e spesso proprio usando il corpo ti rendi conto che le tue reazioni, e quello che come attore devi ‘simulare’, contrastano con ciò che pensi. Io bandisco i casi limite, tra cui il G8, ma l’esperienza di trovarmi, anche solo sulla scena, accerchiato da gente che mi attacca e mi sputa e mi tira addosso sanpietrini, asserragliato nel mio scudo e nel mio casco, mi ha certamente lasciato un segno, perché stimola l’aggressività che è parte della natura umana. E io non sono addestrato a controllare il mio atteggiamento in quei casi. Il mio punto di vista cambia, impugnando il manganello, così come cambia nei panni del Libanese, impugnando la pistola”.

“Per gestire l’aggressività e affiatarci come squadra – racconta Filippo Nigro – ci siamo allenati con il rugby. Il pregiudizio, che anch’io avevo, viene dalla natura stessa della professione di questa gente, pagata per usare la violenza, con un limite che non è mai chiaro. Ci voleva anche preparazione fisica”.

“E’ chiaro – specifica ancora Bonino – che quando mi sono messo a fare ricerca per il libro, intervistando ‘sbirri’, certe cose mi davano fastidio solo a sentirle dire. Figuriamoci a raccontarle. Ma è proprio questo il punto: vedi i poliziotti che brutalizzano i rumeni, che a loro volta hanno fatto del male ad altri immigrati, e da qualche parte della tua pancia una voce dice: ‘hanno fatto bene’. Certo che c’è un rischio morale, ma quando scrivi ti devi liberare di questo ‘ricatto’, altrimenti non racconti nulla, o racconti solo ciò che è funzionale a quello di cui sei convinto. Lo so, qualcuno accuserà il film di ‘sdoganare’ la violenza, di togliere la museruola al rottweiler che è in noi, ma io sono profondamente convinto che chi legge e chi va al cinema sia intelligente, e dunque sappia fare da sé le sue valutazioni. Per lo stesso motivo non sono voluto intervenire durante le fasi di lavorazione della pellicola. Volevo che gli interpreti facessero lo stesso percorso che ho fatto io, dal pregiudizio a una visione diversa, senza influenze esterne”.

“Il problema – conclude Favino – è quando dalla moralità si passa al moralismo. Morale non è una parolaccia: è morale che qualcuno tenti di raccontarmi la realtà. E’ moralistico che qualcuno dica ‘questo è bello’, ‘questo è brutto’, lasciando pensare ai borghesi che la violenza riguardi solo i rumeni, i tifosi o le guardie. E magari pensando così, giustifichiamo nostre reazioni aggressive. E’ un problema di tutti, non è diverso da chi ti assale con un cric per un litigio in strada”.

autore
23 Gennaio 2012

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