VENEZIA – Polina è una ballerina di otto anni che vive a Mosca subito dopo lo smantellamento della Cortina di ferro. Con una modesta formazione alle spalle si iscrive alla prestigiosa scuola del maestro Bojinski che, comprendendone subito l’incredibile potenziale, inizia ad allenarla duramente per un decennio, finché a soli diciotto anni Polina realizza il sogno di entrare al Bolshoi. È in quel momento che incontra Adrien, un affascinante ballerino francese. La giovane attraverso di lui non scoprirà soltanto l’amore ma, soprattutto, una nuova forma di danza, più contemporanea ed espressiva, qualcosa che le cambierà la vita per sempre.
Questo è il tema centrale di Polina – Danser sa vie, il film di Valérie Muller e Angelin Preljocaj presentato alle Giornate degli Autori della 73ma Mostra. Tratto da una graphic novel di Basien Vivès, sottolinea con la sua grazia che il termine ‘cinecomic’ è spesso abusato e applicato in maniera parziale solo per indicare i blockbuster di super-eroi americani: “C’erano già alcune coreografie usate da me nel fumetto – racconta Preljocaj – essendo in verità il mio mestiere proprio quello di coreografo. Il produttore del film sapeva che ci conoscevamo e così ha avuto l’idea di trasporre il libro in chiave cinematografica, ed è venuto a cercarci. Il fumetto ha un tratto meraviglioso, poetico e forte, e al cinema non potevamo contare su questa cosa. Ma avevamo la drammaturgia e il movimento, per cui abbiamo lavorato su quello che guadagnavamo”. “E’ un film di danza – dice Muller – senza gli stereotipi dei film di danza. Non volevamo mostrare solo le ragazze che soffrono e fanno sacrifici, ma anche il loro essere giovani, il voler vivere, fare festa, lavorare, innamorarsi. Ragazze con cui ci si può identificare e dunque profili realistici. Dal fumetto abbiamo ripreso le fasi di costruzione del personaggio, i suoi incontri nell’infanzia, il suo papà molto entusiasta ma anche un po’ avido, e il suo maestro invece rigoroso. Un’altra cosa che abbiamo voluto specificare è l’origine di Polina. Nel fumetto ci sono nomi russi ma non viene esplicitato che si tratti proprio di quel paese. Abbiamo voluto darle una collocazione geografica e sociale”.
“Abbiamo cambiato invece il suo percorso. Nel fumetto Polina lascia la danza e si dedica al teatro, collaborando con delle persone per portare avanti il suo progetto. Non volevamo che sembrasse una sconfitta. Non ce la faccio con la danza quindi faccio altro. Siamo voluti restare nel mondo della danze e fare in modo che lei inseguisse e catturasse il sogno tutta da sola. Il film non riguarda solo la danza ma in generale la formazione di un artista. Potrebbe essere un fotografo, oppure un atleta. Si passa attraverso domande, problemi, fallimenti, sono sempre gli stessi per tutti. Volevamo mostrare che nel mondo della danza ci sono donne molto forti”. La protagonista è interpretata da una vera ballerina, Anastasia Shevtsova, a cui si affiancano la controparte maschile Niels Schneider e un’intensa Juliette Binoche: “Il patto assoluto – dicono i due registi – era che tutti gli attori sapessero ballare. Non volevamo mettere la testa di un attore sul corpo di un ballerino o altre cose del genere. Un attore quando balla esprime la sua personalità, per cui l’effetto si nota e non ci piace. Binoche ha esperienza di danza, avendo lavorato con un coreografo inglese, e comunque le abbiamo affiancato un assistente per dieci mesi, prima delle riprese. Schneider invece nasce come attore, ma Angelin lo aveva scritturato per un suo spettacolo dove aveva potuto fare molta pratica. E’ bello quando si incontrano attori e ballerini, si crea uno scambio positivo. Ognuno ammira il ruolo dell’altro ed è ispirato a migliorarsi. Volevamo riportare il tutto un po’ ai film degli anni ’30 e ’40 dove tutti ballavano, recitavano e cantavano simultaneamente’.
Sarà Microcinema a distribuire nelle sale italiane il film Leone d'Oro 2016, The woman who left, nuovo capolavoro di Lav Diaz. La pellicola, che nonostante il massimo riconoscimento al Lido non aveva ancora distribuzione e che si temeva restasse appannaggio soltanto dei cinefili che l'hanno apprezzata alla 73esima Mostra di Venezia, sarà quindi visibile a tutti, permettendo così agli spettatori del nostro Paese di ammirare per la prima volta un'opera del maestro filippino sul grande schermo
Il film di Denis Villeneuve segnalato dalla giuria di critici e giornalisti come il migliore per l'uso degli effetti speciali. Una menzione è andata a Voyage of Time di Terrence Malick per l'uso del digitale originale e privo di referenti
Il direttore della Mostra commenta i premi della 73ma edizione. In una stagione non felice per il cinema italiano, si conferma la vitalità del documentario con il premio di Orizzonti a Liberami. E sulla durata monstre del Leone d'oro The Woman Who Left: "Vorrà dire che si andrà a cercare il suo pubblico sulle piattaforme tv"
Anche se l’Italia è rimasta a bocca asciutta in termini di premi ‘grossi’, portiamo a casa con soddisfazione il premio Orizzonti a Liberami di Federica Di Giacomo, curiosa indagine antropologica sugli esorcismi nel Sud Italia. Qualcuno ha chiesto al presidente Guédiguian se per caso il fatto di non conoscere l’italiano e non aver colto tutte le sfumature grottesche del film possa aver influenzato il giudizio finale: “Ma io lo parlo l’italiano – risponde il Presidente, in italiano, e poi continua, nella sua lingua – il film è un’allegoria di quello che succede nella nostra società". Mentre su Lav Diaz dice Sam Mendes: "non abbiamo pensato alla distribuzione, solo al film. Speriamo che premiarlo contribuisca a incoraggiare il pubblico"