“Ho voluto realizzare un thriller psicologico la cui suspense ti tiene attento fino alla fine. Certo non è stato facile affrontare un film sul lavoro, vogliono solo la commedia, e con un cast di 11 donne”. Così Michele Placido parla del suo 7 minuti, passato in Selezione Ufficiale e interpretato, tra gli altri, da Ottavia Piccolo, Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Fiorella Mannoia, Maria Nazionale, Violante Placido, Anne Consigny.
Il film parte da una storia vera accaduta nel 2012 in una fabbrica tessile francese, a Yssingeaux, nell’Alta Loira, dove le operaie respinsero la richiesta dei nuovi proprietari di rinunciare a 7 minuti dell’intervallo lavorativo considerandola come l’inizio di una più ampia messa in discussione dei diritti acquisiti. La vicenda è poi diventata grazie a Stefano Massini un testo teatrale “7 minuti”, sottotitolo “Consiglio di fabbrica”, che l’anno scorso Alessandro Gassmann ha portato in scena con protagonista Ottavia Piccolo.
E sempre un testo di Massini, “Lehman Trilogy” verrà messo inscena a Londra da Sam Mendes e una versione cinematografica è al momento allo studio.
In 7 minuti Placido colloca la vicenda in una fabbrica tessile dell’Agro Pontino la cui sorte di 300 lavoratrici è incerta dopo che la maggioranza della proprietà passa a una multinazionale francese. Il pericolo di una ristrutturazione aziendale con relativi licenziamenti è in agguato e metterebbe in ginocchio intere famiglie, già provate da una crisi economica generale. A trattare c’è una rappresentanza sindacale, in parte multietnica, di 11 donne: vite diversissime, giovani e non, madri e figlie, con famiglia e non. A guidarle è Bianca/Ottavia Piccolo, storica lavoratrice dell’azienda e sindacalista di lunga esperienza, è lei a interpretare quanto sta accadendo.
Non ci saranno licenziamenti, ma i nuovi proprietari chiedono che nel passaggio il consiglio di fabbrica tutto al femminile accetti una piccola clausola: la rinuncia a quei 7 minuti quotidiani di pausa pranzo. Sembra un sacrificio accettabile a fronte del rischio corso di perdere il posto di lavoro e la quasi totalità delle 11 donne è pronta a dire sì.
Non la pensa così l’ostinata e dubbiosa Bianca, memoria storica dei diritti dei lavoratori. Non c’è molto tempo per decidere, poche ore, mentre fuori dai cancelli della fabbrica le 300 operaie e i loro familiari attendono l’esito dell’accordo con la nuova proprietà.
Inizia tra le 11 donne un confronto aspro che mette in evidenza le paure, le ansie, lo scontro generazionale, la provenienza geografica. Una divisione al loro interno che si trasforma sempre più in guerra tra poveri. Il tempo stringe, occorre votare sì o no a quella piccola clausola.
Placido ricorda di aver ricevuto da Stefano Massini il testo mentre era impegnato con “Re Lear” al Piccolo Teatro di Milano. “Dapprima ero un po’ perplesso, poi ho capito che era un’idea buona. All’inizio abbiamo faticato dal punto di vista produttivo, per fortuna i produttori francesi si sono interessati per primi al progetto proprio mentre in Francia era in corso una dura lotta contro il jobs act del governo”.
Del resto il testo nasce proprio in Francia quando Massini legge su ‘Le Monde’ un riquadro in cronaca su questa vicenda operaia. “Mi ha interessato forse perché vivo tra Firenze e Prato, una zona di fabbriche tessili. E forte è arrivata una suggestione cinematografica che mi ha richiamato La parola ai giurati di Sidney Lumet, film nel quale un giurato pieno di dubbi convince gli altri 11 colleghi a cambiare il loro iniziale pronunciamento di condanna di un ragazzo imputato di omicidio del padre. Ho poi convinto Ottavia Piccolo a interpretare il testo teatrale che ho scritto e che per due anni ha girato l’Italia. Sono molto legato a questa storia che è il paradigma di un’epoca e come diceva Luca Ronconi un’epoca contiene storie”.
Anche Placido si è ispirato al cinema di Lumet, “come Quel pomeriggio di un giorno da cani, anche quel film ambientato in un luogo circoscritto, con un uso dell’attore come paesaggio. In 7 minuti non a caso ho utilizzato 3/4 cineprese per riprendere non chi parla, ma chi ascolta, le sue reazioni”.
Per Fiorella Mannoia il film, girato in una fabbrica che un tempo impiegava 300 operai e ora solo 15, offre tanti spunti di riflessione. “Prepotenti vengono fuori la spaccatura tra italiane e straniere, e la divisione tra le donne più anziane che hanno conosciuto una stagione di manifestazioni e proteste. Alla fine emerge un cambiamento epocale con un abbassamento dei diritti”.
Per Cristiana Capotondi “tutti i punti di vista rappresenti sono accettabili, ognuno ha le sue ragioni nel momento in cui sceglie che cosa votare, per questa ragione ritengo 7 minuti un film libero”.
Ottavia Piccolo sottolinea la fretta di alcune operaie a votare senza discutere in profondità la proposta dell’azienda, “ ‘almeno parliamone’ ripete il mio personaggio che addirittura viene accusata di essere doppiogiochista, di essersi messa d’accordo con la proprietà. E’ il segno dei tempi, non c’è più fiducia in chi ci rappresenta”.
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