Pino Settanni (1949-2010) è popolare per la sua fotografia in studio, in particolare i personalissimi ritratti di personaggi del cinema e della cultura: Fellini, Mastroianni, Monicelli, Monica Vitti, Troisi, Leone, Moravia, Baj. Ma c’è un altro Settanni meno conosciuto, quello del reportage, che scopriamo con la mostra “Pino Settanni. Viaggi nel quotidiano – Dal cinema alla realtà 1966-2005” – oltre 80 scatti, dal bianco e nero degli anni ’60 ai colori digitali del Duemila – realizzata da Istituto Luce Cinecittà a Roma presso il Teatro dei Dioscuri al Quirinale dal 28 marzo al 28 maggio (ingresso libero, da martedì a domenica, ore 10/18.00), e curata da Monique Settanni, Gabriele D’Autilia ed Enrico Menduni.
Un evento che arriva a oltre 50 anni dai suoi primi scatti fino all’omaggio postumo all’Expo mondiale di Milano e alla nascita del Museo della fotografia a lui dedicato a Matera nel 2015. Le immagini di viaggio di un reporter libero provengono dal grande Fondo Fotografico Pino Settanni, che nel 2015 è stato da acquisito dall’Archivio storico dell’Istituto Luce, che va curando e digitalizzando integralmente questo tesoro di oltre 60mila scatti.
La mostra si apre con tre ritratti d’artista: Monica Vitti con un grande uovo e un breve testo dell’attrice, Renato Guttuso nel suo studio mentre sta dipingendo un ritratto di Moravia e la fotografia di dello scrittore a cui s’ispira Guttuso. C’è qui la ricerca della posa, spesso accompagnata da abbinamenti particolari con gli oggetti. Dopo questa breve prologo ci troviamo subito nell’altro lavoro artistico di Settanni, nella sezione ‘Afghanistan 2002-2005’ che raccoglie immagini dei viaggi in quel paese compiuti sempre su commissione dell’Esercito italiano. Protagoniste sono spesso le donne, ‘prigioniere’ del burka, con i loro bambini, un mondo a parte, sempre separato dagli uomini. Queste donne afgane con i loro abiti avvolgenti e colorati tornano, in chiusura della mostra, sotto forma di rielaborazioni grafiche in digitale, nelle quali la fotografia sconfina nella pittura.
‘Balcani 1998-2003’ documenta invece le numerose trasferte, ancora una volta su commissione dell’Esercito italiano, a Sarajevo, Mostar, Kosovo e Albania. Un panorama fatto di edifici devastati dalla guerra, tombe, bambini che giocano tra rovine e scheletri di carri armati. Dall’Afghanistan e dai Balcani scaturiscono anche due documentari di Rai Tre, Kabul e le donne (2002) e Balcani, gli sguardi, la memoria (2003), presentati al Festival di Locarno.
Dopo il Sud del mondo c’è quello domestico, ‘Sud 1966-1980’, perché Settanni nasce a Grottaglie in provincia di Taranto. E’ un Sud familiare che comincia a fotografare quando ancora lavora alla fabbrica siderurgica Italsider e dove torna spesso una volta trasferito a Roma. Immagini in bianco e nero che rivelano uno sguardo affettuoso e nel contempo ironico verso quella gente che guarda in macchina, una partecipazione verso quel mondo così conosciuto.
“I ritratti, e in particolare quelli dei bambini, non vengono modificati – dice Monique Settanni, moglie del fotografo conosciuto nel 1975 quando lei dirige una galleria d’arte romana e lo introduce nell’ambiente artistico – Pino, l’artista, vuole mettere così in evidenza lo sguardo delle persone ritratte; vi si legge una grande speranza di libertà dalla guerra”.
Ci troviamo di fronte a un ‘reportage sui perdenti’, sottolinea il sociologo Domenico De Masi in una nota al catalogo della mostra, edito da Contrasto. Perdenti che sono purtroppo l’attualità e contingenza del nostro mondo, un mondo che non smette di essere urgente e presente.
Intervista a Chiara Sbarigia, Flavia Scarpellini, Marco Di Nicola e Mario Ciampi
Diciassettesima edizione per il Festival del cinema italiano di Madrid, che si è svolto dal 27 novembre al 4 dicembre. Un programma ricco di proposte con i documentari Duse e Real e il film collettivo per i cento anni del Luce
Immagini di colore dall'inaugurazione della Mostra nata dalla collaborazione tra il Ministero della Cultura e l’Archivio Storico Luce Cinecittà
La mostra è esposta dal 4 dicembre 2024 al 28 febbraio 2025 alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea