Pietro Marcello: filmare il silenzio


“Io soffro nelle interviste. Essere davanti alla macchina da presa significa esporsi”. A parlare così è il regista Pietro Marcello, a Venezia per presentare il suo documentario-ritratto, dedicato al maestro della cinematografia russa Il silenzio di Pelesjan , nella sezione Orizzonti, in coda a due film di Pelesjan stesso.
Insomma, Marcello, come il suo idolo registico sovietico, ama l’assenza di parola. Eppure i due, nel silenzio, si sono intesi, perché Pelesjan non solo ha accettato di essere filmato e raccontato dal regista di La bocca del Lupo – a patto però di tenere lontani i microfonisti – ma lo ha anche accompagnato al Lido, dove ha ribadito però la sua volontà di non rilasciare interviste: “Non è un capriccio – dice il maestro circa la sua decisione di non parlare alla stampa – ma alle interviste non ci credo. Così come non credo che il cinema sia un’arte sincretica. Il cinema si abbevera a ogni forma d’arte. Sono stati i miei maestri a insegnarmi l’importanza del silenzio”.

Il filmato, prodotto da Rai Cinema e fortemente voluto anche da Enrico Ghezzi, che con il suo Fuori Orario ha fatto conoscere il cineasta sovietico al regista italiano, è breve e intenso. “Filmare Pelesjan – racconta Marcello – è come filmare il tempo stesso del cinema. Non seguiva certo i ciak, e mi lasciava girare pochi minuti al giorno, ripetendomi in continuazione che non dovevo usare il cavalletto, che un buon regista non lo fa mai. Sono tornato a Roma con appena 4 ore di girato, che poi ho mixato con filmati d’ambiente, della città di Mosca, e alcuni estratti provenienti dalla collezione privata di Pelesjan stesso”.

Non è il primo, Marcello, che tenta un’impresa simile, ma altri prima di lui avevano fallito, magari anche solo per aver fatto qualche minuto di ritardo. “Io non ho dovuto fare molto per convincerlo – racconta ancora – ha visto i miei film e ha accettato. Lasciavo fare a lui, dandogli gli elementi che lui preferiva, ad esempio il cimitero dove si è recato a visitare la tomba del suo maestro Gerasimov. Da lui ho imparato moltissimo, nel montaggio, per esempio. Abbiamo scelto insieme i dipinti rinascimentali per alcune scene. Lui non crede al cinema come arte sincretica, non crede che nel cinema possano confluire più arti. Lo vede invece come una montagna che si sgretola, generando le altre forme espressive. Ma è un processo strano: mi ci è voluto del tempo per capire cosa avevo imparato da questa esperienza”.

“Quando ne abbiamo parlato la prima volta – commenta Ghezzi che nel film compare in una chiacchierata ‘silente’ con il maestro – Pelesjan ci disse che come titolo avrebbe preferito Il non parlare del cinema di Pelesjan. L’ho ammirato moltissimo per la testardaggine, e anche per la sua volontà di usare direttamente il fisico nel cinema. Mi dispiace solo per Pietro, che alla fine ha dovuto caricarsi in spalla la pesante cinepresa”.

 

Il film è infatti realizzato totalmente in pellicola.
“E’ una scelta – conclude Marcello – che ha a che fare con l’alchimia, con le iniziazioni. Un po’ lo stesso principio a cui risponde il fatto di poter girare solo pochi minuti al giorno”.

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06 Settembre 2011

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