Era il 1927 quando, a Sesto Fiorentino, nasceva Piero Tosi. Era il 1988 quando, a Roma, Lina Wertmüller chiamava Piero Tosi ad insegnare la sua arte di maestro dei costumi al Centro Sperimentale, una storia durata 28 anni (fino al 2016), per un mestiere che lui stesso ha dichiarato di amare: “Se l’avessi immaginato prima non avrei mai fatto il costumista, avrei fatto l’insegnante”. Con queste parole virgolettate e “appese alla parete” d’apertura della mostra si entra nel mondo di Piero Tosi al CSC, nelle sale del Palazzo delle Esposizioni della Capitale, un debutto anche perché, come ha detto il presidente della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia, Felice Laudadio: “È la prima volta che il CSC esce dalle mura di via Tuscolana”. Laudadio ha poi continuato definendo Piero Tosi: “un privilegio per il CSC. Piero sta bene ma non è presente, preferisce per ora rimanere dietro le quinte, come da sempre nel suo essere”.
La mostra – 21 fotografie tratte da backstage e set, 15 ritratti, oltre a diverse sale tematiche – è stata curata da Stefano Iachetti, con Giovanna Arena, storica collaboratrice di Piero Tosi e ora docente lei stessa al Centro Sperimentale, insieme a Virginia Gentili e Carlo Rescigno. Carolina Crescentini in abiti Ottocenteschi rappresenta anche l’immagine simbolo, “posata dopo che si era già diplomata, ma tornata al Centro nel periodo di preparazione de I demoni di San Pietroburgo di Montaldo, proprio per questo costume”, ha raccontato Iachetti.
Una carrellata tutta al femminile per le gigantografie che corrono, l’una accanto all’altra, lungo un intero corridoio del primo piano del Palazzo, in rigoroso ordine cronologico dal punto di vista del costume: “Tosi le incontrava nei corridoi del CSC e le ‘vedeva’ appartenere a epoche specifiche, così sceglieva le allieve per indossare gli abiti realizzati durante i laboratori”, ha continuato il curatore. Non solo fotografie, ma anche quadri digitali su monitor, un documentario biografico e sette sale per questa mostra celebrativa, dedicata ad uno dei più grandi maestri del mondo, “non solo perché ha vinto un premio Oscar”, ha tenuto ha precisare Felice Laudadio.
La storia di Piero Tosi costumista la raccontano le sue creazioni, presenti in mostra con le immagini tratte da alcuni dei film a cui ha contributo a dare anima, colore, raffinatezza e stile:da Bubù di Bolognini (1971) a Storia di una capinera (1993) di Zeffirelli (1993), passando per La donna scimmia di Ferreri (1964).
Sogno, aristocrazia, povertà e realtà. Queste le quattro tematiche adoperate per raccontare Piero Tosi che, ricorda ancora Stefano Iachetti: “Ha lavorato poco con Fellini per questioni di carattere, ma lo ha fatto moltissimo, per esempio, sui volti del Satyricon (esposte due foto). Il rapporto con Visconti è stato più ricco, così come lo è la fotografia di preparazione di Storia di una capinera, con una Chiara Caselli che poi non ha fatto parte del film, ma l’immagine mostra la profonda cura di Tosi per un progetto. È stata sua volontà mettere l’Ottavia Piccolo di Bubù nella fotografia con la calza bucata, perché rendesse la veridicità del personaggio”.
Una colonna sonora accompagna la mostra: talvolta il suono diffuso sovrasta la concentrazione necessaria all’osservazione, ma questo rende tutto molto filmico, restituisce il senso della coralità necessaria alla creazione un film: l’omaggio sonoro è tratto da Morte a Venezia di Luchino Visconti.
Dopo il primo ricco e imponente impatto fotografico e audiovisivo, la mostra si snoda nelle sale tematiche: si evoca lo spazio della sartoria, con la “materia” protagonista, spago, piume, tessuti nelle teche e sulle pareti dell’allestimento. Seguono poi un altro documentario in cui è ancora lo stesso Tosi a raccontarsi e poi due spazi, uno dedicato al ‘600 e l’altro all’800, epoca da lui prediletta. Molto interessanti sono le varie bacheche che mostrano bozzetti, scampoli, e fasi diversificate del lavoro di preparazione.
Ma il Tosi insegnante è soprattutto presente nella sala che fa da epilogo alla mostra, in cui sono esposti costumi creati da suoi allievi, dimostrazione di un’arte trasmessa, e con enorme generosità e sapienza. Tra gli altri, un abito fantasy di Andrea Sorrentino per il film americano The secret of Joy (2015) e l’iconico – rubino e nero – indossato da Salma Hayek nel ruolo della Regina di Selvascura de Il racconto dei racconti (2015), creato da Massimo Cantini Parrini.
La mostra rimane aperta al pubblico da 16 ottobre al 20 gennaio 2019.
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