Tutto parte, se vogliamo, proprio, dalla bellona di turno che, nei panni di Camilla questa volta non rappresenterà più l’amore da inseguire, ma il mezzo per far rivivere a un Pieraccioni nei panni di un banchiere con famiglia, Arnaldo Nardi (“porto persino la riga da una parte, la ribaltina”, scherza l’attore) il meraviglioso tempo dell’età universitaria: “quando tutto è ancora possibile e i sogni ad occhi aperti possono diventare realtà”. “La storia di questo mio undicesimo film – spiega Pieraccioni – comincia laddove finivano gli altri. Quando si chiudeva la porta e non sapevamo sei i due protagonisti sarebbero vissuti felici e contenti. Alla veneranda età dei miei 48 anni ho pensato che sarebbe stato più giusto raccontare il seguito. Perlustrare una situazione in cui c’è già una famiglia, una famiglia che si vuole bene anche se marito e moglie non parlano tanto e a letto leggono rispettivamente due libri dal titolo: “Infiniti silenzi”. E sarà proprio la moglie, la bella Serena Autieri, a sbattere fuori di casa, per un banale fraintendimento, Arnaldo dandogli così la possibilità di saltare nella “macchina del tempo” che lo porterà a condividere un appartamento con dei giovani studenti. “Il mio sguardo verso questi ragazzi – spiega ancora Pieraccioni – è quello di uno zio, che sicuramente darà un pochino della propria esperienza in cambio di quel senso di sfrontatezza che solo una certa età è in grado di darti”. Cambio di rotta dunque per il regista toscano (tra l’altro qui non più in coppia con Giovanni Veronesi, ma con Paolo Genovese, di cui ammettere di essere un grande fan) che sull’onda della nostalgia per i ruggenti anni ’80 si cimenterà con le problematiche di una famiglia dei nostri giorni: “Non voglio però fare un film che si agganci troppo all’attualità. Io amo le favole, e i miei film in questo senso lo sono tutti. Ci sono tanti autori in Italia che sono bravissimi a raccontare la realtà, e che hanno il dovere di farlo, parlo di Virzì, che per me è un nuovo Risi, o Sorrentino e poi ci sono saltimbanchi come me, il cui compito è quello far ridere senza far pensare troppo. Insomma nel cinema esistono tre categorie: la giovane promessa, il solito coglione e il venerabile maestro. Io mi metto volentieri nella seconda”. Nel film niente attualità e niente politica ma cosa ne pensa della situazione italiana Pieraccioni quando non fa il regista? “Purtroppo io mi sento come il resto degli italiani, immerso in un’attesa che si prospetta toppo lunga per avere delle solide speranze. Beppe Grillo forse poteva fare qualcosa, ha avuto un consenso incredibile che non è stato in grado si sfruttare. Credo che non sappia nemmeno lui cosa ha sbagliato. Certo è che ormai la politica è ridotta a un reality le dinamiche sono le stesse: c’è il rottamatore, le nomination, quelli che escono e quelli che entrano. E poi ci sono quelli che posano vestiti da Fonzie…”. E l’affondo è proprio su Matteo Renzi: “Dicono che gli somiglio, ma la verità è che è lui ad assomigliare a me, perché è lui a fare il comico invece del politico. Credo che sia prossimo a mettersi la mano nel cappotto e credersi Beppe Grillo”. Tornando al film, Pieraccioni i veri complimenti li fa a Ceccherini: “Attore straordinario, un vero artista, che in questa storia interpreta un personaggio straordinario, che farà morire dal ridere, un detective costretto a improvvisare improbabili travestimenti”. Altra novità la canzone che il regista ha pensato di mettere sui titoli di coda: La risata di mia figlia “una delle tante canzoni che ho scritto – conclude – mai che non ho mai osato utilizzare in precedenza per il cinema”.
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