Pier Paolo Pasolini come incrocio del novecento intellettuale italiano. È questa la “visione nuova” del documentario distribuito da Medusa dal 5 al 7 marzo e prodotto da MG Production, in associazione con Luce Cinecittà. “Tante personalità arrivate ai vertici della cultura e dello spettacolo avevano in qualche modo iniziato con Pier Paolo Pasolini”, racconta il regista Gianluca Scarchilli, anche voce narrante del film. Le molte esistenze cambiate dall’intellettuale friulano si affiancano in Pier Paolo Pasolini – Una nuova visione grazie al montaggio di preziosi materiali d’archivio. Il fervore di un periodo irripetibile rivive nei volti dei suoi protagonisti, ingarbugliati dalla matassa-Pasolini; ineludibile, sconvolgente, vero “rabdomante del talento”.
L’idea di Scarchilli è l’occasione per raccontare “Il Re delle Borgate” come si fa con una strada, elencando i volti illustri che l’hanno attraversata. Dante Ferretti, Bernardo Bertolucci, Ennio Morricone, Vincenzo Cerami, Laura Betti, Carlo Verdone. Poi gli attori e le attrici, dalla Magnani alla Callas, da Davoli a Welles, creature di regni distanti invitate al banchetto di un cosmopolita della cultura. Trovano spazio sopratutto i Citti, Franco e Sergio. Sono loro a riassumere l’universo Pasolini per Scarchilli: “Per me è stato un modo per ricordare Sergio, ringraziarlo per il dono della sua amicizia e filosofia. Pasolini lo accomunava a Sergio Penna e Moravia”.
Il passo verso Accattone è breve e infatti Pier Paolo Pasolini – Una nuova visione ne ripercorre la genesi. Dal primo “No” di Fellini e la sua “Federiz” – Pasolini voleva uccidersi ma lo convincono a un’ultima cena “da Otello” e così Accattone vede la luce – fino alle ore in moviola con Nino Baragli a correggere la “mancanza di attacchi” che il neoregista aveva del tutto dimenticato. “Quando ai giovani fai vedere dei vecchi film – riflette nel film Caterina D’Amico – li trovi spesso impermeabili, ma quando gli fai vedere Accattone non parlano per almeno tre giorni”.
“L’irregolare in un tempo di regolari”, si dice in Pier Paolo Pasolini – Una nuova visione. E sembra perfetto per spiegare le ragioni di questi incontri straordinari e fortunati, casuali ma mai davvero “per caso”. Perché per Pasolini, la specificità umana, la distanza tra individui, era l’opportunità per avvicinarsi di più: per capire meglio, per fare insieme e a modo proprio. Un “rabdomante del talento”, capace di vedere nell’altro se stesso e il suo contrario, le luci e le ombre. La battaglia che combatte in vita contro l’omologazione (oggi realizzata) non è la retorica di un intellettuale, bensì il modus operandi di un artista. Quando legge con Sergio Citti la prima sceneggiatura di Salò decide di stravolgerla, gli piace il racconto ma non la trasposizione proposta da un giovane sconosciuto a partire da un testo di De Sade. Pasolini e Citti ci lavorano assieme, poi un giorno suona il campanello: “salve sono il ragazzo che ha scritto la sceneggiatura che non le è piaciuta”. È Pupi Avati. Pasolini lo guarda, apre la porta: “Vieni”. Questo, Pasolini: una porta aperta, una visione (ancora) nuova.
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