Sulla Unter den Linden di Berlino, a pianoterra della Romischer Hof che si erge accanto alla settecentesca Humboldt Universität e di fronte alla Staatsoper, sorge il Bud Spencer Museum. La famiglia del grande Carlo Pedersoli in collaborazione con lo Spencerhill Team ha inaugurato nel giugno scorso uno spazio espositivo a dir poco straordinario. Leggi l’articolo
Si entra in una boutique policroma traboccante di merchandasing irresistibili: t-shirt, targhe, gadget, Bud Spencer Whisky, Bud BBQ Sauce, Terence Hill Coffee ecc. Una statua di Bud a grandezza naturale in tenuta blu da marinaio ci guarda ironica sulla soglia del suo museo. Didascalie in tre lingue, tedesco, inglese e italiano. Sullo schermo d’una vasta sala di proiezione ornata da murales del golfo di Napoli assistiamo alle origini e alle radici partenopee del leggendario eroe.
Nasce il 31 ottobre 1929. Sua madre Rina Facchetti è bresciana, suo padre, Alessandro Pedersoli, gestisce il florido mobilificio di famiglia vicino al porto, in attività da tre generazioni. A 7 anni Carlo Pedersoli inizia le lezioni di nuoto e s’iscrive ad un club. Un bombardamento degli alleati distrugge il mobilificio nel 1943 e Carlo si trasferisce a Roma con i suoi. Dal 1946 al 1948 emigra con la famiglia in Brasile ove svolge varie attività. Tutte quante ben documentate attraverso un lungo corridoio colmo di bacheche e videoschermi.
Abbandonati gli studi universitari di chimica a Roma, nel 1949 Carlo si afferma come campione italiano di nuoto nei cento metri stile libero. Rari filmati d’epoca e uno scintillante medagliere ci illustrano la folgorante carriera natatoria di Carlo Pedersoli, vincitore di ben dieci campionati italiani. Prende parte anche ai Giochi Olimpici di Helsinki (1952) e di Melbourne (1956).
Nel 1957 emigra di nuovo in Sud America e lavora prima come capo squadra edile nella giungla venezuelana e poi in una fabbrica di automobili a Caracas. La guida illustrata della mostra racconta: “Dal 1949 al 1959 Carlo Pedersoli è apparso in sette film, principalmente per guadagnare dei soldi per i suoi studi, senza l’intenzione d’intraprendere una vera carriera d’attore. La sua prima apparizione in un film è avvenuta per puro caso. Carlo si stava allenando con i suoi compagni quando una troupe si presentò in piscina per effettuare le riprese. Per completare una scena c’era bisogno di un uomo grande e forte che salvasse la protagonista del film portandola fuori dall’acqua. Carlo accettò. Lo si vede per qualche secondo nel film Quel fantasma di mio marito (Camillo Mastrocinque, 1950)”.
Anche queste comparsate sono visibili e godibili attraverso il percorso di una mostra filologicamente ineccepibile che mescola, senza soluzione di continuità, la vita privata e quella pubblica di Carlo Pedersoli. Negli anni ‘60 diventa editore musicale e compone varie canzoni per Nico Fidenco, Ornella Vanoni e altri pop singer. Nel 1967 il regista Giuseppe Colizzi lo ingaggia per la parte del co-protagonista del western Dio perdona, io no!. Come pseudonimo inglese – obbligatorio all’epoca nei western-spaghetti distribuiti in tutto il mondo come dei fake all’americana – l’ormai ingrassato e barbuto ex campione di nuoto sceglie “Bud Spencer”, ispirandosi da un lato alla Budweiser, la sua birra preferita, e dall’altro a Spencer Tracy, il suo divo prediletto. L’attore Mario Girotti, suo partner nel film, sceglie invece a caso uno pseudonimo: “Terence Hill”. È il primo megahit al box office d’una serie celeberrima che trasforma i due attori in superstar. Il Bud Spencer Museum offre generosamente una valanga di testimonianze d’epoca, copioni originali, dischi, automobili, memorabilia, clip di gag entrate nella storia, colonne sonore, premi, contratti, assegni e oggetti personali.
Un esempio: il bottiglione di Chianti prodotto in edizione limitata nel 2020 a Rocca delle Macie dai famigliari del produttore Italo Zingarelli per commemorare il 50 anniversario dei trionfi ottenuti da Lo chiamavano Trinità. Un brindisi alla salute del cinema italiano e del suo passato glorioso troppo spesso dimenticato.
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