VENEZIA – La definizione più divertente, e anche azzeccata, del film ce la regala Filippo Timi: “Questi giorni è Sex and the city più Piccole donne“. Sarà che Giuseppe Piccioni non sembra avere tanta voglia di spiegare questo suo film che è un oggetto fragile e delicato, da non sciupare con troppe parole. Quattro ragazze sulla ventina in un rito di passaggio, un romanzo di formazione destrutturato, road movie assai poco avventuroso e mèlo senza tragedie. Quattro amiche di provincia (le interpretano Maria Roveran, Marta Gastini, Laura Adriani e Caterina Le Caselle) che decidono di andare insieme fino a Belgrado ad accompagnare una di loro, che ha trovato lavoro in un hotel grazie a un suo contatto in internet. Gli amori infelici, i turbamenti, i flirt, una gravidanza, una malattia, molti segreti e sentimenti taciuti che le uniscono e le dividono per poi di nuovo unirle più saldamente. E sullo sfondo adulti preoccupati soprattutto di restare giovani o di piacere, come la madre parrucchiera (Margherita Buy) o il padre invadente (Sergio Rubini). Per Margherita Buy, attrice a cui Piccioni è da sempre molto affezionato (insieme hanno fatto Fuori dal mondo con cui lei ha vinto il David di Donatello), è stata l’occasione di fare una cosa diversa e anche di coronare un sogno. “Da piccola volevo fare la parrucchiera e tagliavo i capelli alle bambole, ma non ricrescevano. Questa Adria è una madre bambina che quando si rende conto di aver avuto i paraocchi, diventa burbera anziché sentirsi male, ha questa aggressività affettuosa che mi piace moltissimo”.
“Ho cercato di evitare tutto ciò che potesse apparire premeditato e i troppi accadimenti nella sceneggiatura scritta con Pierpaolo Pirone e Chiara Atalanta Ridolfi a partire dal romanzo inedito Color betulla giovane di Marta Bertini. All’inizio ci siamo detti soprattutto ciò che non volevamo fare. Poi abbiamo costruito tre momenti: un inizio intermittente con un tono di commedia, poi un film di viaggio in cui i personaggi sono più soli e infine un terzo movimento che è un mèlo dove i dialoghi si diradano e i tempi sono più dilatati”. Per Sergio Rubini, che ha iniziato proprio con lui ai tempi de ll grande Blek (1987) che fu un esordio per entrambi, impossibile non amare “la sua libertà e spregiudicatezza, il coraggio di citare Marivaux, Godard e Flaubert”.
E c’è proprio Flaubert, come pure Il Paradiso perduto di John Milton e una poesia di Ada Negri intitolata La giovinezza, tra i tanti riferimenti colti di questo cineasta 63enne da Ascoli Piceno, autore da sempre nutrito di suggestioni letterarie. “Cos’è la trama di Madame Bovary? Una signora di provincia, che ha un marito mediocre e che si innamora di un bellimbusto. Ma conta come Flaubert mette in scena questa storia, le sue parole, il suo stile. Non voglio paragonarmi a Flaubert, ma ci sono voluti due anni per fare questo piccolo film”. Un film che sembra avere, almeno nelle parole del suo autore, anche l’urgenza di parlare del tempo che passa, di un non volere o potere invecchiare. “Quando si pensa alla giovinezza ci si rende conto che è immediatamente dietro le spalle. In fondo non smettiamo mai di essere giovani, c’è qualcosa che cambia nel sembiante, ma è la convenzione che ci spinge a sentirci fuori o dentro”. Ed ecco allora che Piccioni tenta di spazzare via qualsiasi riferimento generazionale. “Nel film non c’è nessun riflesso sociologico, nessun riferimento all’attualità, non si possono fare talk show sulla disoccupazione o sul disagio giovanile. Non si parla delle ragazze ma di quattro persone, anche se c’è un doppiofondo nella storia. Anche Lubitsch racconta le superfici dell’esistenza”. Parla anche di un’esigenza personale: “Non volevo scoprire niente su di loro, ma rimettermi in contatto con una strana energia, con quell’attesa, quel disordine, quella confusione. Mi sembrava che raccontare queste ragazze potesse portare qualche risposta che non riguarda un aspetto generazionale. Tanto è vero che, volutamente, non ci sono social network, gerghi, comportamenti codificati. Alla fine è un bussare alle porte del futuro e la scoperta di un’illusione perduta, per parafrasare Balzac”.
Non facile trovare le quattro giovani interpreti – anche se solo Caterina Le Caselle è al suo debutto assoluto, mentre le altre si sono già fatte notare in altre occasioni: “Le ho scelte tra tante e il contatto con loro ha fatto crescere la storia. Penso che per loro sia stata una grande opportunità e un po’ le invidio. Cosa si aspetta una giovane attrice da questo lavoro se non fare un bel ruolo con un regista che stima?”. Ma insomma non c’è stata propria nessuna riflessione sull’avere vent’anni oggi oppure ieri? “Le nostre lotte giovanili si appoggiavano sul benessere generale del paese, loro sentono di non avere molto tempo, sono assediati dall’incertezza e sono un po’ più adulti di noi, si danno da fare, lavorano, fanno i camerieri. Quello che manca è il sentimento di appartenere a un mondo, una chiesa, una passione per il cinema, il rock’n’roll, la politica…”. Come mai la scelta di Belgrado come meta del viaggio? “All’inizio avevamo pensato alla Germania, ma Berlino ci è sembrata troppo banale, poi sono stato invitato a un festival a Belgrado e mi è piaciuta. Lo trovata molto europea, una città dove tutti i giovani parlano inglese”. Piccioni era fermo dal 2011, l’ultimo suo lungometraggio era Il rosso e il nero: “Non è facile fare questi film, produttivamente voglio dire”. E’ di nuovo in concorso a Venezia, dove ha vinto una doppia Coppa Volpi con Luce dei miei occhi nel 2001. Come si aspetta di essere accolto? “Mi sembrerebbe curioso che potesse essere accolto non bene. Però mi piace la battaglia. La dimensione del festival ogni tanto è divertente e appassionante. Anche quando ci sono sentimenti contrastanti, l’importante è che il film sia vivo. Essere in concorso ti dà l’adrenalina e la voglia di vincere tutti i Leoni. Impossibile? Non è detto, la giuria potrebbe anche commettere un’ingiustizia”.
Prodotto da Matteo Levi, Verdiana Bixio (che debutta sul grande schermo), Rai Cinema, Questi giorni sarà distribuito dal 15 settembre dalla Bim.
Sarà Microcinema a distribuire nelle sale italiane il film Leone d'Oro 2016, The woman who left, nuovo capolavoro di Lav Diaz. La pellicola, che nonostante il massimo riconoscimento al Lido non aveva ancora distribuzione e che si temeva restasse appannaggio soltanto dei cinefili che l'hanno apprezzata alla 73esima Mostra di Venezia, sarà quindi visibile a tutti, permettendo così agli spettatori del nostro Paese di ammirare per la prima volta un'opera del maestro filippino sul grande schermo
Il film di Denis Villeneuve segnalato dalla giuria di critici e giornalisti come il migliore per l'uso degli effetti speciali. Una menzione è andata a Voyage of Time di Terrence Malick per l'uso del digitale originale e privo di referenti
Il direttore della Mostra commenta i premi della 73ma edizione. In una stagione non felice per il cinema italiano, si conferma la vitalità del documentario con il premio di Orizzonti a Liberami. E sulla durata monstre del Leone d'oro The Woman Who Left: "Vorrà dire che si andrà a cercare il suo pubblico sulle piattaforme tv"
Anche se l’Italia è rimasta a bocca asciutta in termini di premi ‘grossi’, portiamo a casa con soddisfazione il premio Orizzonti a Liberami di Federica Di Giacomo, curiosa indagine antropologica sugli esorcismi nel Sud Italia. Qualcuno ha chiesto al presidente Guédiguian se per caso il fatto di non conoscere l’italiano e non aver colto tutte le sfumature grottesche del film possa aver influenzato il giudizio finale: “Ma io lo parlo l’italiano – risponde il Presidente, in italiano, e poi continua, nella sua lingua – il film è un’allegoria di quello che succede nella nostra società". Mentre su Lav Diaz dice Sam Mendes: "non abbiamo pensato alla distribuzione, solo al film. Speriamo che premiarlo contribuisca a incoraggiare il pubblico"