“Picasso è un genio che sa farsi perdonare tutto con un tratto di matita”, scrisse Jean Cocteau.
Raccontare Picasso attraverso il cinema richiede di confrontarsi con una figura che incarna il concetto stesso di genio moderno: anticonformista, prolifico, egocentrico, ma anche capace di intuizioni formali che hanno ridisegnato il confine tra arte e vita. La sua biografia, densa di amori tumultuosi, passioni, amicizie artistiche e tensioni politiche, offre al cinema materia narrativa fertile e complessa. È un soggetto che continua a sfidare la rappresentazione: ogni film, ogni documentario, ogni serie che lo riguardi si misura non solo con un essere umano, ma con un simbolo che ha saputo trasformare la propria vita in opera.
Pablo Picasso – scomparso l’8 aprile 1973, a 91 anni – è stato uno degli artisti più rivoluzionari e influenti del XX secolo. Nato a Malaga, ma attivo soprattutto in Francia, è stato pittore, scultore, incisore e ceramista, oltre che instancabile sperimentatore di linguaggi visivi. Fondatore, insieme a Georges Braque, del Cubismo, ha attraversato e spesso anticipato i grandi movimenti dell’Arte moderna. Il suo stile ha conosciuto molteplici metamorfosi — dal Periodo Blu e Rosa alle scomposizioni cubiste, dalle tele politiche come Guernica alla produzione tardiva più espressionista e figurativa.
In principio è stato un cortometraggio documentario italiano del ’54, PICASSO, diretto da Luciano Emmer in occasione della prima retrospettiva italiana, a Milano: l’autore riesce a ritrarlo nel periodo in cui si dedicava alla ceramica nella cittadina provenzale di Vallauris. Con il suo tocco discreto e documentaristico, Emmer coglie un Picasso defilato, immerso nel silenzio creativo della ceramica. La macchina da presa si fa testimone di un momento di transizione esistenziale e stilistica, lontano dalla mitologia del genio tormentato. Il bianco e nero accompagna con sobrietà un ritratto d’artista in equilibrio tra quotidianità e sacralità del gesto. Il doc, girato con uno sguardo quasi reverente, evita l’icona e mostra l’uomo nel gesto del fare: la regia si concentra sul corpo in azione: le mani, lo sguardo, i silenzi. È Picasso stesso, presente in scena, a interpretare la propria figura — ma lo fa senza spettacolarizzazione, lasciando che sia il lavoro, più che la persona, a emergere. Emmer costruisce per sottrazione, restituendo un artista immerso nella materia e nel ritmo lento della bottega – l’Atelier du Fournas, quasi una parentesi pastorale nel tumulto della sua esistenza.
È con protagonista Anthony Hopkins che James Ivory nel 1996 lo racconta con SURVIVING PICASSO. Il tocco raffinato del regista costruisce un film che sovverte il biopic tradizionale, in cui Hopkins è magnetico, ambiguo, dominante: l’interpretazione restituisce l’enigma morale del personaggio; la prova è, insieme, fascinosa e disturbante. L’attore britannico evita ogni tentazione mimetica, non imita l’accento né i gesti celebri del pittore, ma ne assorbe la carica predatoria e il magnetismo oscuro. Il suo Picasso è imperioso, crudele, affascinante — e profondamente solo. Ivory lo incornicia in ambienti ovattati, in cui l’artista domina le donne con la stessa intensità con cui plasma le sue tele. Ma la forza del film sta proprio nel controcampo: Françoise Gilot (Natascha McElhone), voce narrante e coscienza morale del racconto, smonta con grazia e fermezza il mito virile e lo espone alle sue fratture. Ivory, con la consueta eleganza visiva, esplora il labile confine tra carisma e crudeltà, eros e potere.
Non solo grande schermo ma anche serie tv per raccontare Picasso, infatti nel 2018 National Geographic produce GENIUS: PICASSO, con un Antonio Banderas ispirato, che infatti regala una prova monumentale e intima. La serie alterna piani temporali con efficacia, esplorando le pieghe dell’uomo dietro l’icona. La cura scenografica è notevole e restituisce atmosfere e tensioni del Novecento europeo, tra guerre, rivoluzioni estetiche e inquietudini private. Un affresco narrativo ampio, pervaso da inquietudine e ammirazione. Antonio Banderas affronta la sfida di interpretare un personaggio che conosce a fondo, anche culturalmente, essendo malagueño come Picasso. Il suo lavoro attoriale è stratificato: esplora l’inquietudine, la vanità, l’irrequietezza morale. L’attore spagnolo incarna l’artista in varie fasi dell’esistenza, riuscendo a evitare la trappola del santino o del cliché, restituendo così un personaggio in divenire, in conflitto creazione e distruzione, tra ispirazione e abuso. Il suo Picasso è vivo, contraddittorio, spigoloso, per questo credibile.
Il più recente racconto su schermo del pittore spagnolo è italiano: PICASSO. UN RIBELLE A PARIGI. STORIA DI UNA VITA E DI UN MUSEO (2023) di Simona Risi, docufilm che esplora la vita dal suo arrivo nella capitale francese nel 1901. Il film si distingue per una struttura narrativa stratificata, che intreccia biografia e topografia culturale, facendo del Museo Picasso di Parigi non solo un luogo fisico ma anche un archivio emotivo. Risi opta per un racconto sensoriale, arricchito da testimonianze e materiali d’archivio, che restituisce un Picasso urbano, in dialogo con la città e il suo fermento creativo. In assenza di un interprete, il film si affida alla narrazione, agli archivi appunto e alla voce evocativa del commento. L’autrice non tenta la ricostruzione, ma preferisce un montaggio evocativo che fa di Parigi il vero protagonista dialogante con l’artista: Picasso viene raccontato per tracce, attraverso i suoi luoghi e le sue opere, in una geografia biografica. Il risultato è un ritratto per evocazione, dove l’assenza in carne e ossa si tramuta in presenza fantasmatica e persistente.
Picasso, nonostante tutto, è ancora un po’ un mistero e LE MYSTÈRE PICASSO (1956, Premio Speciale della Giuria al IX Festival di Cannes), documentario francese del 1956 diretto da Henri-Georges Clouzot, lo mostra all’opera mentre crea dipinti davanti alla telecamera, offrendo così uno sguardo unico sul suo processo creativo. È un film seminale nella Storia del Cinema sull’Arte, Clouzot mette in scena un vero e proprio happening visivo. Picasso dipinge su supporti trasparenti mentre la cinepresa registra in tempo reale l’evoluzione dell’immagine: un’epifania della creazione. Il regista non si limita a documentare, ma costruisce un congegno formale in cui cinema e pittura si specchiano, si confondono, si fondono. Qui Picasso non è interpretato: è. Picasso diventa performer di un cinema che si fa pittura in movimento: il suo volto è assorto, impenetrabile, la vera “recitazione” è nella tensione del gesto, nella costruzione e distruzione dell’immagine sulla carta. Clouzot non racconta chi sia Picasso, ma fa vedere cosa fa quando nessuno guarda.
Un’esperienza “breve” ma non dissimile dal doc precedente è il corto documentato belga VISIT TO PICASSO (1949) diretto da Paul Haesaerts, che presenta l’artista mentre dipinge su lastre di vetro, permettendo agli spettatori di osservare la formazione delle sue opere in tempo reale. Più breve e meno spettacolare del successivo film di Clouzot, ma non per questo meno radicale, il cortometraggio cattura il fluire del disegno attraverso lastre trasparenti, restituendo a chi guarda la vertigine della genesi. Essenziale e poetico, è uno dei primi esempi di cinema immerso nella dimensione del fare, capace di restituire il mistero senza tradirlo. Come in Le Mystère Picasso, anche qui l’artista si presta a essere filmato durante l’atto creativo, ma in forma più sperimentale e breve. Picasso appare più rilassato, quasi giocoso, e il tono del cortometraggio è meno solenne rispetto a Clouzot. Il vetro trasparente su cui disegna diventa un diaframma magico: lo spettatore assiste alla nascita di un’opera come fosse un evento naturale, quasi animato. Picasso una presenza meno mitizzata e più tangibile, si offre al cinema senza compiacenza, e il risultato è un ritratto effimero e poetico.
La serialità torna nella narrazione del Maestro con PICASSO: MAGIC, SEX & DEATH, serie documentaristica britannica del 2001, presentata dall’amico e biografo John Richardson. La voce appassionata e lucida del biografo guida questa serie BBC in tre episodi che osa affrontare i lati più controversi della personalità di Picasso. Lontana dal ritratto agiografico, indaga senza compiacenza il binomio arte-vita, sessualità-potere, offrendo una visione tanto informata e perturbante. Una narrazione intensa, colta e visivamente curata. In questa serie, dunque Picasso non è interpretato, ma ricostruito da una delle voci più autorevoli sulla sua vita: la narrazione è intima e diretta, e proprio nel nome del rapporto personale diventa forma di rappresentazione. Richardson racconta il Picasso che ha conosciuto, senza filtri né indulgenze: un uomo guidato da pulsioni vitali e distruttive, capace di grande generosità e altrettanta violenza emotiva. Non c’è attore, ma il tono della voce, lo sguardo e le pause di Richardson sono, a loro modo, una performance: l’ultima interpretazione, affettuosa e lucida, dell’uomo dietro il mito.
È luogo comune immaginare Picasso adulto ma Phil Grabsky analizza gli anni formativi con il doc IL GIOVANE PICASSO, accesso privilegiato ai musei di Malaga, Barcellona e Parigi. L’autore adotta un taglio curatoriale così il film, a tratti più museografico che cinematografico, brilla per rigore e chiarezza espositiva. Pur mancando di una vera tensione drammatica, riesce a illuminare il precoce genio plastico e la febbrile formazione dell’artista. Il documentario rinuncia volutamente all’elemento drammaturgico per concentrarsi sull’indagine storica. L’“interpretazione” di Picasso passa qui attraverso le voci di storici dell’arte, curatori e materiali d’archivio, che costruiscono una figura in formazione, ancora non mitizzata; è la parabola del talento precoce e della fame iconoclasta a offrire la trama. Il giovane Picasso fa emergere una figura inquieta, impaziente, spesso ombrosa, in cerca di un linguaggio che possa sostenere l’ambizione di rifare il mondo.
È infine un colpo da maestro quello che compie LA BANDA PICASSO, film spagnolo del 2012 diretto da Fernando Colomo, che narra in chiave comica il coinvolgimento di Picasso nel furto della Gioconda dal Louvre nel 1911. Con piglio farsesco e ritmo da Commedia dell’Arte, Colomo rilegge un episodio grottesco e poco noto della biografia picassiana: l’involontario coinvolgimento nel furto del dipinto di Leonardo. Il risultato è una variazione leggera, quasi burlesca, sul tema del genio e dell’equivoco, tra teatro dell’assurdo e cineclub d’annata, un divertissement colto, anche se narrativamente disomogeneo. Ignacio Mateos interpreta un Picasso giovane e irriverente, immerso nella Parigi bohémienne e coinvolto in una vicenda farsesca con la nonchalance di un personaggio da Commedia dell’Arte, appunto; il suo è un Picasso beffardo, anticonformista, a tratti buffonesco, un contro-ritratto volutamente lontano dalla gravitas delle biografie ufficiali. Colomo gioca con il mito, lo scompone e lo carica di ironia. L’attore riesce a mantenere un equilibrio tra caricatura e affetto, restituendo un personaggio scanzonato ma non superficiale, capace di riflettere su sé stesso e sulle maschere che il tempo gli ha cucito addosso.
Il cinema ha guardato a Pablo Picasso con sguardo versatile, spesso con punti di vista divergenti, che oscillano tra mito del genio e decostruzione dell’uomo. Dai documentari d’autore come Le Mystère Picasso di Clouzot, che elevano l’atto creativo a pura performance visiva, alle serie biografiche come Genius o Picasso: Magic, Sex & Death, che ne esplorano le zone d’ombra psicologica, il linguaggio cinematografico ha cercato di catturare l’inafferrabilità di un artista che ha fatto della metamorfosi la propria cifra.
Le interpretazioni – da un Anthony Hopkins ambiguo e imperioso a un Antonio Banderas stratificato e inquieto – mettono in luce un tratto fondamentale del personaggio: la costante tensione tra creazione e distruzione, amore e dominio. Il cinema, nel confrontarsi con Picasso, si fa spesso specchio della sua stessa ambivalenza: documenta e immagina, osserva e reinventa. Così, ogni tentativo di rappresentarlo finisce per raccontare non solo chi fosse Picasso, ma cosa significhi ancora oggi – per l’Arte e per il mondo – confrontarsi con il suo sguardo radicale.
Una manciata di titoli di opere d’arte che riflettono il trasformismo creativo di Pablo Picasso: Scienza e carità (1897), La vie (1903), Famille de saltimbanques (1905), Les Demoiselles d’Avignon (1907), Ritratto di Ambroise Vollard (1910), Tre musicisti (1921), Guernica (1937), Le Baiser (1969).
Le vicende del pittore e incisore spagnolo, scomparso il 16 aprile 1828, sul grande schermo con Javier Bardem, Michael Ironside, Stellan Skarsgård, protagonisti per Bigas Luna, Miloš Forman e Carlos Saura con la fotografia satura e pittorica di Vittorio Storaro
28 marzo 1985: 40 anni dalla scomparsa del pittore bielorusso di fede ebraica. Una Statuetta per Chagall di Lauro Venturi nel ’64, mentre Homage to Chagall celebra la visione romantica e Chagall – Malevich esplora il conflitto con l’ideologia sovietica
Capolavori come il ‘David’ o ‘Il giudizio universale’ basterebbero per battezzarlo “genio dell’Arte”, ma Michelangelo – nato il 6 marzo 1475, 550 anni fa – è stato inoltre architetto e perfino poeta
Il 1° marzo 1445 nasceva a Firenze il talento rinascimentale: cinque film e doc internazionali, tra cui Botticelli e Firenze. La nascita della bellezza, con la voce di Jasmine Trinca