Si tratta dell’uomo – già oggetto di un documentario del 2008, Man on wire – che nel 1974 realizzò l’impresa di camminare sospeso su un cavo teso tra le due Torri Gemelle ancora in costruzione. Una pellicola che ha strappato molti applausi grazie a uno script equilibrato ed entusiasmante, ricco naturalmente di tensione nella parte del film che riguarda l’allestimento (illegale e avventuroso) dell’opera e della camminata, ma in grado anche di tracciare, nel comparto recitazione (convincente l’inteprete Joseph Gordon-Levitt) un profilo interessante di un personaggio eccentrico e fuori dagli schemi. L’uso della stereoscopia è sapiente e la tensione si sviluppa in lentezza, con la costante paura di una rocambolesca e drammatica caduta. E’ lo stesso Petit ad accompagnare il film e tracciarne i temi portanti, con fare istrionico e coinvolgente, mimando spesso la sua impresa anche nella più confortevole postazione del palco della Sala Petrassi.
Togliamoci subito il dente. Il film è anche un grande e sentito tributo alle Torri Gemelle, due colossi ormai caduti…
Sono felice che me l’abbia posta subito, perché per me è molto doloroso pensarci. Non solo per i palazzi, che chiaramente ho vissuto in maniera del tutto particolare, ma soprattutto pensando che in quell’attentato sono morte così tante persone.
Dove le piacerebbe sospendere di nuovo il suo cavo?
Sotto al letto ho una scatola rossa con scritto ‘progetti’. E’ piena di fotografie che rappresentano i miei sogni: cattedrali, montagne, luoghi meravigliosi, naturali oppure costruiti dall’uomo. Sarebbe molto bello camminare tra due Mohai dell’Isola di Pasqua.
Ma il funambolismo può essere considerato uno sport?
Io non credo. Lo sport lo si fa per competizione o per divertimento, ma non ha la profondità di un’arte. Io sono stato fortunato, non sono nato nel circo, dove a volte fingono di perdere l’equilibrio appositamente per ottenere l’applauso. Ho imparato da solo, ispirandomi all’arte, l’opera, la scultura. Non sono solo un funambolo, sono uno scrittore del cielo, un pittore, un attore che usa un palcoscenico piccolissimo: un cavo.
Nel film, alla fine della fiera, lei resta solo. Lo è ancora?
Un artista che sia completamente concentrato sulla propria arte deve provare questo sentimento. Sono solo sul cavo e a volte mi sento solo anche quando scendo, anche se sono circondato da amici e si festeggia la riuscita di un’impresa. La solitudine per un artista è importantissima. Quanto c’è di vero nel film e quanto di spettacolarizzato? Il film è tratto dal mio libro ‘Toccare le nuvole’. Diciamo che è abbastanza fedele a come sono andate le cose veramente, giusto un paio sono state aggiunte, per rendere il film più adatto a Hollywood. Del resto, l’intento è portare gli spettatori con me sulla fune.
Ha incontrato Joseph Gordon-Levitt?
Ho insistito per allenarlo, anche se avevamo a disposizione solo otto giorni. Gli ho detto: ‘bene, in otto giorni camminerai su un cavo’, e ho tracciato una linea sul pavimento. Camminare su una linea morta è forse anche più difficile cha farlo su un cavo. Lui era pieno di dubbi, aveva un grosso punto interrogativo sulla sua testa ma io non volevo certo che camminasse tra le Torri Gemelle, mi bastava comprendesse l’anima, lo spirito, la maestà, la nobiltà, l’eleganza, il senso di sfida che ho nel camminare. Alla fine ha fatto 10 metri. Zemeckis non credeva ai suoi occhi. Sul set c’erano anche degli stunt-man ma per gran parte del tempo sono i suoi piedi che vedete su schermo.
Mi rendo conto che la domanda è banale, ma non ha mai paura?
Mi viene da dire: paura di che? Io non dico mai cosa può succedere se inciampo. Sono addestrato a camminare su quel cavo e sono troppo concentrato, quando lo faccio, per avere paura. Quando faccio il primo passo so che arriverò a fare l’ultimo. Sia chiara una cosa: non lo faccio per disprezzo della vita. Io la vita la amo.
Ci sono delle scene che le sono piaciute particolarmente del film?
Oddio, io non so nemmeno scegliere un colore o un piatto preferito. Ce ne sono così tanti. Direi, sicuramente la scena del ‘visitatore misterioso’. Una cosa che mi è accaduta realmente, mentre stavo fissando i cavi, e ovviamente avevo paura di essere scoperto perché stavo facendo una cosa illegale, prima dell’alba, sul tetto delle Torri Gemelle arriva questo tizio. Per un attimo ho temuto che il mio sogno si schiantasse. Ma non era un poliziotto e nemmeno un operaio. Non ho idea di chi fosse. Mi sono fatto l’idea che anche lui stesse facendo una cosa senza permesso. Magari voleva solo starsene lì a rimirare il panorama dall’alto. E nel film c’è questa scena carica di tensione in cui io tengo stretto in mano un pezzo di tubo. Non lo minaccio, ce l’ho solo lì. E ci guardiamo, ed è chiaro che lui pensa di avere a che fare con un pazzo. E ha anche ragione, tra l’altro, perché è questo che ero. Poi semplicemente saluta e se ne va. Non l’ho mai più rivisto né ho mai capito di chi si trattasse. E poi amo la scena in cui sto per partire con la camminata. Un piede poggiato sul filo e uno sul cornicione. Ed è la mia gamba, non io, a capire quando il cavo è pronto, e a dare inizio allo show. Io di solito controllo entrambe le estremità dei cavi, ma in quel caso non potevo, non potevo volare tra una torre e l’altra. Quindi si vede questa statua immobile che sta lì a riflettere e poi, pian piano, inizia a camminare.
Invece, qualcosa del film che non le è piaciuto o in cui non si è riconosciuto?
Beh, il film mi è piaciuto molto, altrimenti non sarei qui a parlarne, chiaro. C’è una cosa che non risponde a verità. Ad esempio è vero che mi sono ferito il piede poco prima dell’evento, ma non perdevo sangue, come nel film. Comunque questo non mi urta. Due cose avrei fatto diversamente. La prima è che a un certo punto si vede che inciampo, e questo è proprio una spettacolarizzazione di quello che accade. Vi assicuro che se fossi inciampato oggi questo incontro non esisterebbe. L’ho detto a Zemeckis: ‘Bob, dai, non si può fare’, ma lui ha insistito, perché il cinema è anche questo. La seconda è il modo in cui fisso i cavi, con delle chiavi mobili che se fossero cadute avrebbero potuto uccidere qualcuno. Io invece ho fatto un allestimento meraviglioso, se mi posso permettere, stando attentissimo a non danneggiare le persone né i palazzi, con degli strumenti del mestiere antichi e collaudati. Ecco, queste due cose le avrei cambiate, ma non mi danno fastidio al punto di rovinarmi la visione del film.
Dopo la prima traversata, anche se ha compiuto la missione, lei decide di tornare sul cavo e compiere anche il percorso inverso. Cosa l’ha spinta?
E’ una bellissima domanda. E’ che, vede, io stavo lì, seduto, ed ero come un re sul suo trono. Non me la sentivo di dire ‘Ok, è fatta, festeggiamo’. Non ero soddisfatto della prima camminata, era stata una specie di prova. Poi avevo controllato la mia seconda estremità e, beh, ho sentito qualcosa che ancora mi chiamava. La bellezza del vuoto, delle Torri, di New York. E la gente che sotto cominciava ad accalcarsi. Ormai conoscevo il cavo. Non era un gran cavo, però sapevo come gestirlo. Mi sono alzato e ho ricominciato a camminare, per quarantacinque minuti, avanti e indietro. Improvvisando. Questo fanno gli artisti.
Cosa rappresenta per lei, veramente, quel cavo?
In francese noi diciamo ‘fil’, che è molto più raffinata di ‘cable’. Beh, è il filo della vita, come dirlo diversamente. Dietro mi porto sempre una cordicella, che vedete anche nel film. E la uso quando vedo dei luoghi per immaginarmi quanto sarebbe bello metterci un cavo in mezzo. Il cavo non è mai una linea retta, è una curva catenaria, gira su se stesso, si muove in orizzontale e in verticale. E’ vivo. E’ come un animale e io lo devo gestire. E quando l’ho installato tra le Torri, anche se non avevo tempo, mi sono fermato comunque un momento a guardare quella curva. Era bellissima, come un sorriso. Il funambolo collega i posti e le persone. Magari da un lato e dall’altro ci sono dei nemici, e quando mi vedono e mi ammirano sono un tutt’uno ad applaudire. Non credo in un unico Dio ma in molte forze, e da dove viene il termine religione? Da ‘religare’, cioè legare insieme. La verità è che non ho ancora imparato del tutto come si fa. Ho 66 anni e ancora mi alleno, 3 ore al giorno.
Sogna mai di essere di nuovo lì, sospeso tra le Torri?
Sì e no. Per la verità non sogno mai di camminare sul filo. Quella per me è la vita. Mi sarà capitato una o due volte. Però sogno spesso di volare. Correre lentamente e poi spiccare il volo, e sono sogni piacevoli e gioiosi. Però ho un ricordo vivissimo di quella esperienza e nel mio cuore la rivivo spesso, è stata la mia avventura.
La vedremo mai sospeso da qualche parte qui in Italia?
Ci sono venuto tante volte ma è la prima volta che vengo a Roma. Non potrò certo scoprirla in due giorni. Cercherò di coglierne lo spirito, poi ci devo tornare un paio di settimane e fare dei sopralluoghi, magari mettere su un progetto e presentarlo alle autorità competenti per ricevere un invito, e un assegno. Non mi serve molto, non sono un milionario. Sono un semplice artista che vive di questo. Il mio sogno inizia così. Sono venuto a Carrara per un festival letterario e mi ha affascinato la cultura del marmo. C’era un tipo che suonava un pianoforte tutto di marmo. Mi piacerebbe attraversare sul filo la cava dei marmi, da una parte all’altra, illuminando tutto di candele come Milos Forman che per Amadeus ne ha usate 30mila. Ma ancora non sono riuscito a parlarne con nessuno. Anzi, lei è un giornalista. Se può ne parli lei.
Lei è un artista tradizionale. Che ne pensa del 3D, e delle nuove tecnologie?
Generalmente a me il 3D non piace, penso che il cinema debba basarsi sul talento del regista, del montatore eccetera. Però questo film è un’eccezione, se lo vedi in 3D e in IMAX è come un volo sul Grand Canyon, porto veramente il pubblico con me sul cavo e gli faccio avere paura, ma una paura divertente. Ovviamente funziona al meglio nella parte che riguarda la camminata, ma se potete consigliate alla gente di vederlo così. Anch’io l’ho fatto, con quegli stupidi occhialini. Però questo film è bello anche senza, nel 2D tradizionale. E’ questa la sua forza. Le tecnologie però secondo me attutiscono i sensi. Tutti questi gadget, il pc, il cellulare, le cuffie. Vedo questi teenager completamente isolati e stanno dimenticando i propri sensi. Io uso solo una penna, una bella penna a inchiostro, e quando viaggio matita e taccuino, per disegnare. Nemmeno la macchina fotografica uso. Non ho l’orologio, sono un bravo borseggiatore e giocoliere, per cui se mi dovesse servire lo rubo. Non uso il PC, scrivo come Leonardo Da Vinci. Io vado nella direzione opposta, cerco di combinare i miei sensi per crearne altri, del resto nella preistoria lo facevamo, eravamo animali a quattro zampe con enormi narici. Annusavamo, sentivamo tutto. Lo faccio anche oggi, vivo nei boschi vicino Woodstock e se c’è un orso in giro lo fiuto, anche se non lo vedo. I nostri sensi vanno tenuti vivi.
Però immagini che video potrebbe fare, dal cavo, con una GoPro in testa…
No, no. Sarebbero orribili. Instabili. I video non hanno niente a che fare con l’esperienza del funambolo e con la sua anima. Niente potrebbe rendere l’idea.
Come ha deciso di diventare funambolo?
Non ho mai programmato nulla nella mia vita. Amo la sorpresa. A sei anni conoscevo la prestidigitazione, a otto ero un ottimo giocoliere, a sedici un funambolo. E’ stato un passaggio naturale.
Non è il primo film che fanno su di lei. James Marsh aveva realizzato un documentario nel 2008, Man on wire…
Sì, ma sono imparagonabili. Sono proprio due quadri diversi. Diciamo che consiglierei prima di vedere il documentario per informarsi e poi di passare al film.
Come sono i suoi rapporti con il suo paese d’origine?
La Francia per la verità non sembra capirmi, o comunque non si accorge di me. Mi hanno dato la medaglia per la cultura della Legione d’onore, ma io non volevo la medaglia, volevo lavorare lì. Però almeno stanno traducendo i miei libri in francese, quello sì.
Userebbe la sua arte per lanciare un messaggio?
Forse sono colpevole di non essere impegnato, ma no. Non ho bisogno di cartelli, non cerco di dire altro che non riguardi il cavo. La gente deve farsi la propria opinione. Al limite potete ammirare la mia eleganza. Ma il paradosso è che proprio per questo evidentemente sono di ispirazione. Me lo dicono in tanti: ‘ci hai ispirato’. E io.: ‘ok, grazie, ma a fare che?’. ‘A realizzare i nostri sogni, a spostare le montagne’. Evidentemente le montagne si possono spostare.
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