Peter Jackson: tutta colpa del Paradiso


Peter Jackson si è ormai specializzato nelle trasposizioni cinematografiche di “libri impossibili”.
Dopo aver dominato su critica e pubblico con Il Signore degli Anelli, che prima di lui era definito “unfilmable” – ci aveva provato Ralph Bakshi negli anni ’70, con un vituperato cartone animato – ora il regista neozelandese si cimenta con una prova ancora più impegnativa.
Amabili resti, in uscita in Italia il 12 febbraio, è la versione filmica dell’omonimo romanzo di Alice Sebold, scritto per esorcizzare l’esperienza di uno stupro subito da ragazzina.

 

Nel libro, di esasperante crudezza e al contempo di grande poesia, la 14enne protagonista Susie Salmon viene violentata e barbaramente uccisa dal vicino di casa.
L’originale impianto letterario vede Susie ascendere al Cielo (che però non è il Paradiso, ma una sorta di “limbo”) e raccontare al lettore ciò che vede dall’alto, in forma di fantasma. La giovane donna osserva sua sorella crescere e la sua famiglia sgretolarsi, guarda suo padre che non riesce a darsi pace e “tifa” per lui mentre compie le sue ricerche per catturare l’impunito assassino. Vede il ragazzo che le ha ‘rubato’ il primo bacio proseguire la sua vita senza di lei, provando il desiderio soffocato di poterlo abbracciare almeno un’altra volta.

Una trama complessa, difficile da riproporre in immagini soprattutto per il punto di vista “statico” e insolito della voce narrante, oltre che per l’intersecarsi dei rapporti tra i vari personaggi e per il continuo ma equilibrato cambio di registro, che oscilla costantemente tra commedia e dramma, tra metafisica e realtà sensoriale.
Una sorta di evoluzione del “realismo magico”, ma potenziata dal rigore e dall’asprezza dei thriller moderni.

“Ci siamo subito resi conto della difficoltà di farne un film – ha dichiarato il regista a ‘Ciak’ – era come un puzzle”.
E proprio come se si trattasse di un puzzle Jackson tenta di risolvere il problema, decostruendo la trama e poi rimettendo assieme i pezzi che gli paiono essenziali – gli “amabili resti” del romanzo potremmo chiamarli – asciugando molto e modificando alcuni passaggi in maniera estrema e non sempre efficace: scompaiono totalmente il personaggio dell'”assistente sociale” che aiuta Susie ad ambientarsi nell’oltretomba e la storia d’amore fedifrago di mamma Salmon con l’agente di polizia.

 

E, cosa più importante, nel film c’è l’omicidio – fuori dall’inquadratura, nonostante i trascorsi ‘splatter’ dell’autore – ma non si fa mai cenno alla violenza carnale.
Comprensibile che la scena, autentico pugno nello stomaco nella versione letteraria, non sia stata mostrata, però non menzionare nemmeno ciò che è accaduto in quell’orrendo scantinato scardina totalmente il sistema di relazioni simboliche su cui il romanzo, nato proprio a seguito di una violenza, si struttura. Nel libro lo status ectoplasmatico della ragazzina diventa metafora della sua condizione fisica, psicologica, morale e sociale dopo l’abuso. Nel film è un fantasma perché è morta, e basta.

 

Analogamente, la tecnica narrativa subisce un cambiamento radicale: se nella versione cartacea Susie percepisce tutto dall’alto, limitando la sua presenza sul piano terreno a incursioni sporadiche e proprio per questo significative, nel film lei vede e sente molto di ciò che accade sulla terra come se si trovasse su un piano parallelo: ascolta le voci dei suoi senza vederli, si riflette nella finestra da dove osserva suo padre, corre a fianco a lui tentando invano di richiamarlo alla ragione durante un attacco di follia vendicativa.

Se da un lato questa scelta contribuisce a donare dinamismo all’azione, dall’altra svuota completamente di valore i rarefatti episodi di contatto tra i due mondi – il terreno e il celeste – che invece dovrebbero contare.

Le forzature si sentono, con un effetto straniante forse voluto, forse dovuto a esigenze di produzione – come un PG13 alla censura e una durata “a portata di sala” – tanto che anche il tempo del racconto è contratto: quel che nel libro succede nel corso di anni, qui sembra durare pochi mesi.
Jackson regala emozioni, come sempre, quando può sfogare la sua vena creativa: così lo sviluppo dei rullini postumi di Susie con scadenza mensile diventa la geniale trovata per segnalare lo scorrere dei giorni e la visualizzazione del “purgatorio”, che nel libro non era descritto dettagliatamente, finisce per prendere il sopravvento, beando lo spettatore con immagini lisergiche, colorate e affascinanti e richiamando quel Creature del cielo che per molti è e resta il capolavoro del regista di Pukerua Bay.

 

Nota di merito per il cast, composto, oltre che dalla giovane Saoirse Ronan nel ruolo di Susie, da un intenso Mark Wahlberg nei panni del signor Salmon, da Rachel Weisz in quelli della sua disorientata moglie, da due autentiche “istituzioni” come Stanley Tucci e Susan Sarandon. Il primo interpreta il “mostro” con estrema disinvoltura, incarnando alla perfezione il concetto di “banalità del male”, la seconda si cala nelle esuberanti vesti di una nonna ubriacona, che nonostante i suoi difetti sarà in grado di apportare una svolta nelle dinamiche della famiglia disgregata.

autore
10 Febbraio 2010

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