Perché la Berlinale fa le retrospettive migliori al mondo


BERLINO – Da tempo i cinefili di tutto il mondo si sono passati la voce: le retrospettive della Berlinale sono decisamente le migliori. E questo per un semplice motivo: riuniscono competenza scientifica, copie bellissime e un pizzico di inventiva cinefila che le rende non piatte riproposizioni ma interessanti variazioni sul tema prescelto. Prendiamo la retrospettiva di quest’anno, The Weimar Touch, il tocco della repubblica di Weimar. Uno si poteva aspettare un’ampia antologia di tutto il cinema espressionista, magari integrato dai primi film che Fritz Lang e gli altri profughi hanno girato una volta scappati a Hollywood. Invece no. Il tocco di Weimar, secondo la Filmoteca Tedesca che come sempre ha organizzato la retrospettiva, si puo rintracciare in molti film noir girati a Hollywood, nei film di propaganda antinazista girati durante la seconda guerra mondiale ma anche nelle opere che prevedono un uso insistito del travestitismo. Ecco perché la rassegna si conclude con Jack Lemmon e Tony Curtis abbigliati da donna in A qualcuno piace caldo, mentre si muovono proprio come i loro predecessori nei cabaret berlinesi degli anni Venti, il luogo dove Billy Wilder aveva affinato il proprio gusto per lo spettacolo. Ecco perché nella rassegna si inserisce anche il Charlton Heston protagonista di un noir leggendario, L’infernale Quinlan, il film “parallelo” al contemporaneo Psycho (e non solo perche Janet Leigh è presente in entrambi, ma per i tanti curiosi incroci che hanno legato in modo inscindibile le avventure di due grandi geni Orson Welles e Alfred Hitchcock che avevano contemporaneamente deciso di fare un film hollywoodiano contro Hollywood).

 

E naturalmente sono presenti nella selezione anche i grandi nomi della politica degli autori che i cinefili piu attenti hanno scoperto e ammirato: Douglas Sirk (il suo Il pazzo di Hitler, con John Carradine che smette per un film di essere Dracula o l’elegante baro di Ombre Rosse e ci restituisce le cupe fattezze dei fedelissimi della svastica) e Jacques Tourneur (con Le catene della colpa, il film che ha rivelato a tutto il mondo la forza di Robert Mitchum e di Kirk Douglas). Emozioni forti, gioia per gli occhi; e un modello che vorremmo tanto fosse presente anche nei festival italiani…

autore
11 Febbraio 2013

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