La nuova povertà, il Dio denaro necessario a sopravvivere ma anche radice di sentimenti minati e desideri mortificati: eppure ne Il riscatto signoreggia la lotta per la dignità e la libertà dell’arbitrio; nonostante tutto gareggia l’istinto alla vita, indipendentemente dal perpetrarsi delle vessazioni imposte dall’economia detrattrice delle esistenze.
Recitato da Michele Venitucci, Michele Cipriani, Deniz Özdoğan, Sara Putignano, interpreti convincenti, con la partecipazione di Francesco De Vito, Franco Ferrante e Domenico Fortunato, l’opera per il cinema è basata sul romanzo omonimo di Michele Santeramo (ed. Baldini e Castoldi) – anche soggettista e sceneggiatore del film – e narra le complessità economiche e familiari di due fratelli, Vincenzo (Cipriani) e Sabino (Venitucci), e delle loro mogli, Maja (Özdoğan) – “in dolce attesa” – e Angela (Putignano). “Ho avuto la fortuna di mettere insieme un gruppo d’attori di provenienza quasi esclusivamente teatrale, con cui abbiamo fatto un lavoro preventivo di analisi sul testo: con il minimo sforzo, mettere in scena il massimo dell’empatia; quello che abbiamo portato in campo sono pezzi d’anima, di cui gli attori sono veicolo verso lo spettatore”, spiega Leo Muscato, a cui s’aggiunge Santeramo: “Questi personaggi hanno con sé una profondissima umanità: quando si è poveri, per rimanere esseri umani bisogna avere sentimenti importanti. C’è una deriva che spesso tocca, per necessità, chi è nella miseria, e rimanere persone perbene è una conquista. Ho intervistato tante persone quando ho iniziato a scrivere – quasi tutte in Puglia, perché il territorio ristretto permette di andare nel dettaglio, che poi rende tutto universale – e ho scoperto che è diffusissima questa situazione e che davvero… ci sono persone disposte a vendersi il sangue o un rene, ma ho trovato sempre un’umanità amplissima. In tempi in cui è la speranza a essere minata, va alimentata”.
Una storia non inusuale, appunto, per tante famiglie del nostro oggi, orfane di ogni diritto e che guardano a qualcosa di naturale, come il desiderio di un figlio, come qualcosa che “non possiamo permetterci!”… La precarietà non rende intoccabili i legami affettivi e familiari, e pesa sulla dignità: ma, la battaglia per la personale rivincita, non s’interrompe, e Leo Muscato – con l’accompagnamento estetico della curata fotografia di Giorgio Giannoccaro – sceglie, oltre all’insito dramma, anche il tono della levità per rispondere alla disperazione, che nel film comincia con l’esproprio di un terreno in cambio di un risarcimento irrisorio, questione che porta per mano i due fratelli verso l’inevitabile incontro con il malaffare. “È una storia che nasce sei anni fa, da uno dei più belli tra gli incontri professionali, quello con Santeramo, che mi fece leggere un soggetto, verso cui ho nutrito subito interesse: i personaggi sono metafore di esseri umani, fanno una continua lotta per l’ottenimento delle cose più normali e, nonostante le circostanze, trovano sempre risorse per reazioni anche forti e inconsuete. È ferocemente urlante quanto questa sia una storia d’amore, anche facendosi del male”, continua Muscato, a cui fa coda ancora Santeramo: “Tutto quello che viene raccontato nel film attiene a quello che io ho verificato, ovviamente ci sono invenzioni per i personaggi, ma tutto si poggia su cose che ho visto davvero accadere. I nuovi poveri non sono costretti a vivere per strada, ma la vita dipende da piccolissime cose, pochi euro, e questa umanità è molto, molto diffusa, più dell’immaginabile. È un’umanità palpitante, anche molto bella a suo modo”.
Una comunità umana resa viva soprattutto dai quattro attori principali, Michele Vanitucci, per cui: “I due fratelli non esisterebbero uno senza l’altro, sono complementari, è la bellezza della storia: il lavoro con Muscato è stato atipico per le modalità cinema: abbiamo fatto tante prove e dato un aspetto quasi teatrale al lavoro della parola. Il tempo di collocazione del film è una dimensione quasi fuori da sé: si nota che non abbiamo quasi mai i cellulari, e i luoghi potrebbero essere un qualsiasi Sud del mondo, cosa che dà una cifra realistica alla storia ma altrettanta astrazione, e che ci ha fatti concentrare molto di più sui personaggi, che sin dal romanzo a me hanno ricordato quelli verghiani, ma personalmente mi sono staccato dall’idea di uno stereotipo”. Per “il fratello” Michele Cipriani: “Ognuno di noi ha percezione di storie molto simili, ma questa ha connotazioni drammaturgiche e di senso che richiedono personaggi densi, con una precisa missione, con dei sogni brechtiani, che li rendono più forti della realtà. Sono straordinari per le loro caratteristiche morali, non molto comuni, dalla rettitudine all’onestà”, temi che s’intrecciano con quelli più femminili, nelle parole di Denize Özdoğan, chiamata a mettersi a confronto con una dura maternità: “Credo che, come con i figli, ogni atto creativo inizi da un seme, e io, sin dall’inizio, ho sentito questo seme, molto umile nella sua accezione più alta: Muscato è un regista da un cuore puro, capace quindi di attirare persone molto simili; altrettanto, è un seme audace, infatti la storia attira sfighe, ma poi le trasforma in gloria, e ne partorisce di nuove che si desidera veder germogliare. Dal testo ho percepito la natura combattiva di Maja, ma al momento di metterla in scena m’è arrivata in maniera morbida, senza angoli, aprendomi ad un senso di grande sorellanza: quando sul set mi hanno portato il bimbo di 20 giorni, c’era molta ansia generale, mentre io desideravo un’atmosfera di pace e così ‘ho parlato’ con la mamma che è dentro di me e abbiamo fatto una scena bellissima. Ho scoperto – attraverso il personaggio – anche la rabbia del non poter avere quasi un controllo sul proprio utero: grazie a lei ho capito come si possa anche odiare l’attesa, ma quando lo vedi nascere, svolta il punto di vista”. Il suo, un ruolo materno combattuto ma, seppur differente, non meno sofferto è quello di Sara Putignano, per cui: “È stato un percorso intenso, per questa specie di rapporto con se stessa, che solo alla fine la porta ad un vero dialogo con gli altri, ma determinato da un passato che probabilmente compromette il suo rapporto con la maternità. Il rapporto con la realtà è una sorta di linea, dentro cui succedono tantissime cose, per arrivare alla virgola finale”.
L’ambientazione de La rivincita è nelle pugliesi Celia, Grottaglie, Locorotondo e Martina Franca, tra l’altro luogo natìo del regista , anche attore e pedagogo teatrale: il film è la sua opera prima per il cinema, una produzione Altre Storie, Rai Cinema e Apulia Film Commission; il film era stato selezionato al Bif&st 2020 nella sezione competitiva.
La rivincita annovera anche un prestigioso contributo musicale, quello di Paolo Fresu: il finale suona sulle note di No potho reposare, canto d’amore tradizionale sardo, in una versione arrangiata e interpretata dal Maestro: “La scelta di non inserire nessuna musica come colonna sonora è stata fatta alla fine del montaggio, ci siamo resi conto come bastasse l’emotività messa in campo dai personaggi: per assolvere, infine, il ruolo di catarsi è stato difficile scegliere la musica finale, e siamo contenti della chiusura nelle nuvole”, chiosa Leo Muscato.
La rivincita è uno degli 8 film – 4 inediti – dapprima destinati all’uscita cinematografica, disponibili direttamente su RaiPlay, dal 4 giugno. “La proposta di questo cinema d’autore, normalmente da festival/sala, ora su una piattaforma, è l’inizio di qualcosa di nuovo: avere la possibilità di ampliare il pubblico e permettere di guardare questo cinema anche a chi farebbe fatica ad andare a cercarlo in sala, credo permetta di intendere la piattaforma in modo da aggiungere un pubblico e un gradimento che è di grande conforto per tutti. Penso ci sia un po’ bisogno di vincere, in termini numerici e di riconoscimento collettivo: i risultati finora ottenuti sono importantissimi per questo cinema, ed entrare nella case di tantissime persone gli dona una vitalità davvero forte” afferma Paola Malanga (Rai Cinema), insieme alle parole della collega Elena Capparelli (RaiPlay): “Penso che l’operazione con Rai Cinema, e con tutti, stia dando ottimi risultati, quindi sia un buon auspicio anche per il film di Muscato, che aggiunge un’altra prospettiva ancora: la sua, un’umanità che non può mai riposare. Questi film su RaiPlay sono spesso guardati sulle smart tv e, per una piattaforma di solito usata per contenuti brevi e su mobile, penso sia un segnale d’interesse di voler guardare, da casa, con la miglior qualità possibile. Penso la sala sia insostituibile, ma nella piattaforma c’è una risposta interessante, perché il pubblico può scegliere in conformità ai propri gusti e quindi porta una qualità di pubblico molto alta”, riflessioni a cui a cui Cesare Fragnelli, produttore e distributore per Altre Storie, fa eco finale: “Sono certo che l’accordo Rai Cinema e RaiPlay possa far percorrere al film una strada che porti ad una vera vittoria numerica; è incredibile il lavoro che Capparelli sta portando su una OTT pubblica: il sostegno di aziende di Stato, per film culturalmente significativi, è fondamentale”.
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