Per Lanciarsi dalle stelle, il film di Andrea Jublin scritto da Alice Urciuolo, tratto dal romanzo di Chiara Parenti, con Federica Torchetti, Cristiano Caccamo, Celeste Savino e Lorenzo Richelmy, arriva solo su Netflix dal 5 ottobre, in tutti i paesi in cui il servizio è attivo.
Il film racconta la storia di Sole Santoro, una ragazza di quasi 25 anni nata e cresciuta a Conversano, in Puglia, una dimensione idilliaca che però comincia a starle stretta. Ma non è semplice prendere la decisione di cambiare vita e trasferirsi altrove, perché Sole soffre da sempre di disturbi di ansia: per lei compiere un qualunque, anche insignificante gesto può diventare un’impresa titanica.
L’unica in grado di comprenderla e aiutarla è sempre stata Emma, la sua migliore amica, che però adesso non c’è più. È stata quest’ultima a scrivere la lettera che Sole riesce a leggere solo pochi giorni prima di compiere venticinque anni. È un’esortazione ad avere uno slancio di temerarietà: Sole dovrà stilare una lista delle piccole e grandi paure che la paralizzano e poi affrontarle una ad una. Dopo tanto tentennare, anche grazie al supporto e all’incoraggiamento di un nuovo gruppo di amiche e amici, Sole accetta. E da quel momento il suo viaggio diventa un cammino alla scoperta di sé che la condurrà verso mete che, come spesso accade, non avrebbe mai potuto immaginare.
Le due interpreti principali sottolineano sia l’importanza del tema che la necessità di trattarlo con la giusta ironia.
“Ho letto il libro – dice Torchetti – e tutto era affrontato in maniera più drammatica, con diverse dinamiche: cambiano i nomi e i tempi, è tutto più contratto, ma il libro mi ha permesso di capire la sensibilità del personaggio, che poi abbiamo ricostruito sul set con Andrea, adattandolo alla sceneggiatura. L’ansia in sé non è una malattia ma una reazione allo stress di tutti i giorni, che può essere anche una forza in più, per esempio prima di un provino. Ma se sfocia nel malessere, allora serve parlarne con un amico o con uno specialista. Può diventare un problema invalidante che fa vivere la vita a metà. Non basta più curare solo il fisico, serve anche curare la testa. Il film affronta la tematica dell’ansia con leggerezza ma anche rispetto. I giovani devono anche capire come accettarsi per quello che sono, con le proprie fragilità e le proprie paure. Non sempre è giusto avere pretese troppo alte verso sé stessi. Bisogna essere consapevoli dei propri disagi e dei propri limiti, e parlarne. Sole soffre del disturbo fin da bambina, ma questo peggiora dopo la perdita della migliore amica. Miriam, il personaggio di Celeste, la aiuta, e realizza una sorta di passaggio del testimone”.
Commenta invece Celeste Savino: “Il mio personaggio non esiste all’interno del libro, ma leggerlo è stato utile per capire anche il mood da cui tutto questo è nato e la drammaticità con cui tutto è stato poi restituito. Non essendoci il mio personaggio, sono dovuta partire da zero, ispirandomi ad altre persone del posto da cui vengo, Conversano, che casualmente coincide con quello in cui abbiamo girato. Mi sembrava incredibile lavorare nelle strade del mio luogo d’origine, oggi vivo a Roma da sei anni ma quando torno giù imparo ad apprezzarlo maggiormente. Sono vittima dell’ansia io stesso, ho avuto attacchi di panico, in diverse occasioni, quando frequentavo il Centro Sperimentale, verti e proprio annebbiamenti. E’ assurdo che ancora non sia considerato un vero problema, bisogna trovare il modo di controllarlo, da soli o affiancati da chi ti vuole bene. Ci vorrebbe una campagna di sensibilizzazione adeguata. Il mezzo cinematografico, anche su piattaforma, è molto forte per far sì che arrivino certe tematiche, ci aiuta a vedere questo disturbo psicologico in maniera fresca e leggera ma al contempo seria. C’è maggior ironia rispetto al libro e questo è un grande apporto di Alice Urciolo”.
Sul valore dei luoghi e delle location torna Torchetti: “Tutti noi che abitiamo al Sud pensiamo ad andarcene dopo il liceo, ma poi ci rendiamo conto che anche le radici sono importanti”.
“Il mio personaggio è positivo – spiega Savino – studia a Roma ma come me torna in Puglia per l’estate, però si trova di fronte a un’enorme difficoltà, per cui alla fine, con Sole, si scambiano i ruoli. I personaggi sono molto tridimensionali: ha paura anche quella più forte. Io sono riuscita a gestire l’ansia preparandomi a seguire i miei obiettivi e a fregarmene di quello che pensano gli altri, soprattutto in situazioni dove sono in mezzo a tanta gente”.
Spesso il personaggio di Torchetti parla in camera, un po’ come nella serie Marvel She-Hulk: “E’ stato destabilizzante – spiega l’attrice – ci insegnano a non farlo, ma con Andrea abbiamo giocato: la camera diventa la migliore amica di Sole, che ha perso la sua vera amica. Così potevo essere me stessa e fare ironia. La macchina, come un amico immaginario, non è una vera persona e non giudica. Nella vita mi fa paura il futuro, temo di fallire, non solo nel lavoro ma in generale. Molte altre cose si possono facilmente superare. Potrei perfino buttarmi con un paracadute. Si può anche sbagliare. E’ una frase del film: se ci provi e sbagli, ci hai provato e hai sbagliato. Non muore nessuno”.
Commenta la sceneggiatrice Urciuolo: “Il romanzo parlava di una Sole impaurita nell’affrontare il mondo, ma abbiamo deciso di specificare il tema dell’ansia, perché più persone ci si possono ritrovare. Ci sono diversi gradi, tutti noi l’abbiamo provata anche se magari non abbiamo un disturbo generalizzato. Il tema è trattato con grande rispetto e volevamo togliere uno stigma dietro al tema della salute mentale. Sole soffre di un disturbo ma tutte le persone attorno a lei hanno sperimentato l’ansia. Ma Sole resta la più coraggiosa, è quella che si mette in gioco e affronta le sue paure profonde. Raccontare l’ansia è difficile, i personaggi si raccontano attraverso le azioni e l’ansia è una cosa che non si vede, anche per questo abbiamo deciso di far parlare Sole con lo spettatore. Abbiamo dato anche spazio alla sua immaginazione, ad esempio alcune scene si svolgono nella mente di Sole. Disegnare davanti a tutti per Sole può essere molto difficile, la sua mente galoppa fino alle peggiori conseguenze che quell’azione potrebbe avere. Sole va anche dallo psicologo, volevamo anche normalizzare questa cosa. I temi sulla salute mentale esistevano ma erano stigmatizzati, addirittura le donne finivano in manicomio per isteria o presunto esaurimento nervoso. Volevamo uscire da questo tipo di narrazione. L’ansia è una cosa che Sole ha, ma non è un problema di per sé. Tutti i personaggi hanno paure, difficoltà, timori, lei deve convivere con un disturbo importante ma è coraggiosa, non si lascia vittimizzare. Per questo era importante che lei andasse anche da uno psicologo. Abbiamo avuto consulenti specializzati. Ci siamo chiesti anche l’approccio che avrebbe un professionista. Il senso era lanciare un messaggio chiaro: provare ansia può essere normale! Il fallimento fa parte della vita, e può essere utile, anzi, prima lo cerchi e prima capisci come fare per non fallire più”.
La Puglia è una altro protagonista: “Conversano è un posto di mezzo, con determinate dinamiche, lì tutti sembrano stare bene, mentre Sole sta malissimo. Abbiamo voluto che si mettesse un po’ di traverso”.
Il regista Jublin fa eco: “All’insaputa di altri, nel film sono tutti ‘fragili’. Sole è la protagonista e ha il ‘difetto fatale’ più importante, ma non è che quelli che le stanno attorno stiano benissimo. Hanno tutti paura, abbiamo voluto restituire proprio il concetto di fragilità. Sole vive in una gabbia dorata. Vuole scappare da un luogo dove ci sono mozzarelle, tufi, abbronzatura. Sembra un luogo perfetto, soprattutto se non lo vedi dall’Italia. Ma al quarto minuto il dottore le chiede ‘se potessi, dove andresti?’. Lei non lo sa, e lo dice sorridendo con gli occhi lucidi. Non ha un percorso. Sa che non riesce a partecipare alla grande festa della mozzarella e dell’abbronzatura, non ce la fa, ma non se che diavolo fare. Alla fine della storia non sarà perfetta, ma avrà un luogo dove andare, ed è già molto”.
Sul casting, il regista prosegue: “Federica era vera, era perfetta. E lo faceva anche un po’ sorridendo. Abbiamo fatto tre o quattro scene. Quando cerchi l’attrice devi cercare un range di note che dovrai suonare. Sapevo che doveva essere fragile e simpatica. Lei era puramente vera e rendeva tutto credibile. Il film doveva essere concreto, soprattutto, seppur con un elemento leggermente favolistico. Sole parla alla macchina da presa per includere lo spettatore in quello che lei pensa, perché non è facile entrare nella testa di una ragazza che soffre di disturbo d’ansia generalizzato. Fare cose che per noi sono una sciocchezza, per lei è difficilissimo. Così come cose che a noi sembrano molto difficili per altri sono sciocchezze. Si tratta di trovare un posto del mondo. L’essenza delle storie è “in divenire”, quando qualcuno vuole fortissimamente qualcosa, allora c’è una storia da raccontare”.
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