“L’idea di girare un mio film mi accompagna da sempre, ma era solo un desiderio, perché io non ho studiato cinema, ho iniziato a lavorare come attrice a 16 anni, e così ho continuato. Dopo così tanto tempo da interprete, ho costruito e sviluppato un mio punto di vista, una mia modalità di racconto, e mi sono detta ‘oggi sono pronta a raccontare una storia attraverso il mio sguardo, da regista”.
Incontriamo Paz Vega negli spazi di Alice nella Città all’Auditorium di Roma, dove è arrivata per accompagnare la sua splendida opera prima: Rita, un racconto sulla violenza di genere vista attraverso gli occhi di una bambina di 7 anni, ambientato a Siviglia nel 1984, soli tre anni dopo la legalizzazione del divorzio in Spagna.
Ma la regista e attrice è qui anche per ricevere il Womenlands Excellence Award: giunto alla sua seconda edizione, il premio intende mettere in luce il nuovo ruolo della donna nella società contemporanea e la sensibilità della Capitale sul tema dei diritti e dell’inclusione, al quale “Paz Vega ha contribuito, sull’onda di colleghe come Penelope Cruz e Salma Hayek, ridisegnando il profilo delle donne ispaniche a Hollywood”.
“Nel mio film il montaggio, la direzione della fotografia, la scenografia, tutte le cose più importanti sono firmate da donne”, afferma la regista. “Anche la producer è donna. Ma non perché io abbia pensato ‘per questo ruolo voglio una donna’. Il mio obiettivo era solo il risultato migliore, dunque per ciascun ruolo ho detto: ‘voglio lavorare con te, e poi con te, e poi con te. E quelle persone erano tutte donne: è stato fantastico. Il problema della violenza domestica e di genere è il focus”, aggiunge Vega. “Le campagne di sensibilizzazione dei governi si rivolgono alle donne, ma il focus di questo problema sono gli uomini: sono loro che compiono quelle violenze, sono loro che vanno sensibilizzati. Occorre cambiare del tutto la prospettiva sul problema, chiamando in causa gli uomini e facendogli capire che non sono le donne a doversi difendere, ma loro a non compiere quelle azioni”.
Cambiamo argomento e torniamo al film, a come è nata in Paz Vega l’idea di raccontare la storia di Rita.
Quando ho iniziato a pensare alla storia giusta da raccontare, il primo tema che ho avuto in mente è stato quello della violenza domestica”, continua Paz Vega. “Molti anni fa in Spagna lavorai in un film, Sodomia, ma il focus lì era sulla coppia. Per prepararmi al ruolo, sono stata per un periodo in un centro antiviolenza, con donne che avevano subito storie molto estreme. Ne uscii scioccata, e mi dissi che un giorno avrei dovuto raccontarle, perché si trattava di un tema davvero urgente e importante. Il momento è arrivato, ma ho voluto cambiare il punto di vista, mettendomi dalla parte dei bambini, che sono le altre vittime. Quando un bambino o una bambina cresce in una casa dove la violenza è la normalità, per la loro salute mentale questo è un problema, come la tristezza e il terrore che generano in loro: quindi ho deciso di raccontare la violenza domestica vista con i loro occhi, perché tutti siamo stati bambini.
È l’estate del 1984: Rita e Lolo (Sofía Allepuz e Alejandro Escamilla) sono i due fratellini di 7 e 5 anni, figli di Mari (Paz Vega), giovane, bella e piena di dolci attenzioni per loro; il padre, José Manuel (Roberto Àlamo) fa il tassista, il suo unico desiderio è arrivare a casa a tracannare birra e vedere la partita, salvo prendersela con la moglie se non ne trova in frigo o per qualsiasi altro motivo, nella peggiore tradizione del macho latino. Le vacanze estive stanno iniziando e l’intero paese è in fermento per i campionati europei di calcio, dove la Spagna ha raggiunto i quarti di finale. Fa molto caldo, i bambini sognano di andare al mare, ma quando non possono si divertono con poco a creare i loro mondi fantastici, pieni di poesia.
Perché ha scelto di ambientare la storia in quegli anni?
“Perché ogni giorno che in Spagna, o in Italia, o in Sudamerica apri un giornale leggi di queste storie: donne uccise in casa dai mariti, nel 21mo secolo… Se pensiamo e crediamo di vivere in una società moderna, non possiamo accettare che tutto questo accada ancora. La storia di Rita, quindi, potrebbe essere tranquillamente ambientata ai nostri giorni, ma io avevo bisogno di raccontare la storia dell’infanzia che conoscevo: io non sono una bambina ora, lo sono stata allora. Ho voluto scrivere una storia che ha a che fare con la mia infanzia, con la mia città, con il mio quartiere, con le dinamiche familiari di quel tempo. La storia di Rita non è autobiografica, ma tutto quello che accade intorno a quella famiglia è in qualche modo anche la mia storia”.
In Rita la violenza non è fatta di sangue o immagini terrificanti. La paura è molto presente, ma in sottofondo, alternata a scene di pura e innocente felicità. Rita guarda gli stormi che danzano in cielo con Nito, il ragazzino suo vicino di casa (Daniel Navarro), e quando qualcosa non va, per tranquillizzare il suo fratellino inventa due cavalli immaginari, Tuono e Fulmine, pronti a portarli via lontano, con la fantasia.
“La mia idea è stata di mostrare il reale comportamento dei bambini: loro a volte sono felici, poi magari in un istante iniziano a piangere e poi tornano di nuovo contenti con una sola caramella… Perché i bambini piccoli incarnano il presente, non hanno idea del futuro né del passato: i bambini ‘sono’ il presente, volevo mostrare questo nel film: per questo la storia di Rita passa da immagini meravigliose, felicità, luce, a improvvisi cambiamenti che portano nel buio totale. Volevo che tutto questo fosse davvero reale, credibile, per questo il lavoro coni bambini è stato estremamente meticoloso, perché il realismo della storia per me era molto importante”.
La sua grande conoscenza del mezzo cinematografico le ha permesso di guidare il cast dei bambini con qualità artistica eccezionale, in scene autentiche e commoventi… Come li avete selezionati?
“Siamo partiti da un casting numerosissimo, ho visto circa 300 bambini! il personaggio più importante da trovare ovviamente era Rita: ho cercato una bambina che avesse qualcosa di speciale negli occhi, perché il mio film non è un film di grandi dialoghi, ma piuttosto di silenzi. E questi silenzi dovevano essere pieni di emozione, pieni di cose, dunque dovevo trovare una bambina che con i suoi occhi mi restituisse tutto questo: sono stata davvero molto fortunata a trovare Sofía! (Allepuz, ndr) Il giorno in cui abbiamo iniziato le riprese lei aveva appena compiuto 7 anni, mentre il piccolo soltanto 6: è stata fantastica: perché così giovane, Sofía è già in qualche modo matura: possiede anche un suo grande mondo interiore, pieno di ogni cosa, ed è anche molto ‘smart’. Sono assolutamente sicura che in futuro diventerà una grandissima attrice. Prima di questo film aveva partecipato ad un solo cortometraggio, ma questo è stato il suo primo grande lavoro sul set, sette ore al giorno, tutti i giorni, per tutti i bambini. Per Lolo e Nito invece, è stata la primissima volta in assoluto sul set… Nito sapeva solo fare il calciatore, giocava a pallone tutto il giorno. Sì, proprio perché sono attrice, sono entrata subito in connessione con loro, ho cercato di dar loro gli strumenti per trovare le loro emozioni… adoro lavorare con i bambini”.
Chi sono stati, se ce ne sono stati, i suoi film o i suoi registi di riferimento?
Non avevo in mente nessun film di riferimento girando il mio.. ma lavorando con tanti registi diversi di ogni parte del mondo, probabilmente ho imparato da ognuno di loro: come raccontare la storia, come empatizzare con la tua squadra, come esprimere le tue idee… Ho cercato di essere molto onesta con la mia storia, di creare un’atmosfera, ma sinceramente sento di non essermi riferita a nessun film o regista in particolare. Per me la cosa più importante era il realismo. Se proprio vogliamo dirlo, quindi, forse può esserci qualche momento in cui, ma molto da lontano… Rita potrebbe assomigliare a molti film neorealisti italiani”.
“Il più grande insegnamento che ho avuto da questa opera prima? Che non vorrò mai più ricoprire il ruolo di regista e di attrice insieme, è troppo duro! Non mi sono mai risuscita a divertire davvero interpretando una scena, pur se riuscita benissimo, perché già mi stavo preoccupando di quella che seguiva, e di tutto il resto”.
Guardiamo al futuro: il suo prossimo progetto?
“Anche quello è una storia che esplora una dinamica familiare, ma in un altro Paese, che ha un’altra cultura, e la relazione in quel caso è tra due ragazzi ventenni e il loro fratello piccolo… Si parla di sogni, desideri… e anche se è un film completamente differente, ci sono alcuni elementi che riportano a Rita”.
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