“Passami il bisturi”, disse il dottor Ethan Coen

Incontro Ravvicinato con Ethan Coen, che sceglie la chirurgia sul grande schermo come tema dell’incontro, ma nessun film italiano


Ha firmato con il fratello, Joel, 20 film, tra cui alcuni che hanno scritto la Storia del cinema: Fargo (1966, Oscar per Miglior Sceneggiatura Originale), Il grande Lebowski (1998), Fratello, dove sei? (2000), Non è un Paese per vecchi (2007, tre premi Oscar), solo per citarne qualcuno. 

Statunitense del ’57, Ethan Coen è a Roma per il primo degli Incontri Ravvicinati della Festa, quelle occasioni, aperte anche al pubblico, che permettono di assistere ad una chiacchierata, informale e intima, sul cinema, con grandi autori internazionali, usuale la moderazione da parte del direttore Antonio Monda, come in questa occasione. 

Surgery! Questa scritta, che naturalmente significa “chirurgia”, campeggia enorme alle spalle di Ethan Coen seduto difronte alla platea: sembrerebbe il titolo di un film o il logo di una pubblicità, finché il direttore non svela essere il tema che l’autore americano ha scelto quando ha accettato l’invito alla Festa, e che ha narrato e interpretato tramite una selezione personale di sette sequenze di film, da tutta la Storia della Settima Arte. Un argomento scelto perché: “è qualcosa di molto reale da una parte, e un trucchetto ricorrente dall’altra”, dichiara subito Coen.  

Il Noir americano Hollow Triumph (Steve Sekely,1948) apre la carrellata: “Qui la chirurgia è un escamotage interessante, la protagonista si fa una cicatrice per cercare un’altra identità, tipico dei Noir anni ’40. Non ne ho visti molti non americani, ma alcuni messicani sì, molto interessanti perché urbani, con una musica fantastica, oltre che girati molto bene”, commenta il regista, che continua con The doctor (Randa Haines,1991) e “Il fascino di una sequenza quasi giocosa che poi diventa quasi drammatica. Non è chirurgia plastica, ma comunque un tavolo da chirurgo è un setting molto interessante per far svolgere la storia. È un dispositivo interessante cinematograficamente”. È poi la volta di  Seconds (John Frankenheimer, 1966), “un film con una musica solenne, che sottolinea l’operazione:”, precisa Monda, a cui segue Coen notando come: “Qui tutto è molto serio, per questo mi piacciono queste storie, anche se può sembrare superba l’idea di cambiare le identità. Rock Hudson è sorprendente! Oggi sarebbe impossibile fare un film così, le persone non ci crederebbero, e uno Studios non farebbe un film del genere”. Come difficile, e annunciato dallo stesso direttore come molto forte per le immagini torturanti, è l’horror Audition (1999) di Takashi Miike, di cui Ethan Coen dice: “lui è fantastico, lui ha brio: uno dei piaceri di vedere film che arrivano da altri Paesi è guardare attori che non conosci, bravissimi loro due. Molti film sono grafici in maniera sciocca, questo invece è il miglior film di Miike. È una storia ‘MeeToo’ degli anni ’90, ti succede questo…” come punizione per l’abuso femminile, ovvero aghi negli occhi e piedi tagliati, a carne viva e senza anestesia, con fil di ferro. Un film al limite della censura, parrebbe, e così il confine labile del tema dà il là ad una riflessione proprio sul concetto della stessa nel cinema, per cui Coen brevemente commenta: “Con Joel, mio fratello, ci censuriamo continuamente, pensate al montaggio o al processo di scrittura: un costante avanti e indietro”. 

Sono poi i Corpi da reato (Paul Feig, 2013) quelli di cui si parla in questo film: “di chirurghi non accreditati! È una versione contemporanea della considerazione della medicina: il personaggio di Sandra Bullock ha letto delle informazioni su Internet e crede di poter fare il chirurgo! Sembra alquanto mainstream questo film, non indie, è un grande film hollywoodiano: Hollywood non è una parolaccia”, afferma Coen, la cui selezione continua con due titoli firmati proprio con suo fratello.  L’uomo che non c’era (The Man Who Wasn’t There, 2001), in bianco e nero: “Ci piacciono le vecchie forme, il vecchio stile: abbiamo scelto il bianco e nero per il feeling con il B Movie, importante per dare la sensazione di far sentire in un’altra dimensione. Non ci preoccupiamo mai dell’effetto del ‘genere’, e si è autorizzati a ridere anche nei momenti più terribili”, spiega dell’opera firmata a quattro mani con Joel Coen, come le sequenze di Prima ti sposo poi ti rovino (Intolerable Cruelty, 2003), che offre lo spunto ad Antonio Monda per chiedere: “Perché spesso i personaggi sono molto stupidi o fanno cose stupide?”, “Perché se tutto è troppo ben posato non manda avanti la storia, se invece qualcosa s’inceppa, sì”, spiega Ethan Coen, che offre l’occasione anche di fare un accenno ad un loro progetto filmico, avviato e mai andato in produzione, quello basato su: “la storia di un B52 abbattuto su Tokyo durante la Seconda Guerra Mondiale: un film muto, perché parlava di un americano in Giappone, quindi impossibilitato a parlare con chiunque, sarebbe stato un film di sopravvivenza, per cui era stato scritturato Brad Pitt”, spiega Ethan Coen, che con Pitt ha realizzato altri film, ma non quello che dice essere la propria opera del cuore: “Non ho un film preferito, non li rivedo, ma sono felice di aver fatto A Serious Man, perché mi ha riportato nella nostra infanzia”. 

Purtroppo nella sua chiacchierata Ethan Coen non ha mai citato un film o un autore italiani, ma il Vecchio Continente c’è nella storia cinematografica dei fratelli Coen, come svela proprio Antonio Monda in chiusura, quando racconta di essere stato nel loro ufficio a Tribeca, dove su una parete campeggia un’enorme locandina di Lancillotto e Ginevra (1974) di Robert Bresson: “C’è un gran piacere nel guardarlo, ci sono cose quasi ipnotiche nel suo cinema, l’essere secco e diretto”, chiosa il regista americano.  

autore
17 Ottobre 2019

Roma 2019

Roma 2019

Ron Howard: “Pavarotti, una vita da Opera”, stasera su Rai Uno

Parola al premio Oscar Ron Howard, regista di Pavarotti, documentario biografico in Selezione Ufficiale alla Festa di Roma 2019, stasera in prima serata su Rai Uno: materiale familiare inedito, interviste originali, tra cui a Nicoletta Mantovani, alle tre figlie e alla prima moglie, e a Bono Vox, un racconto franco e celebrativo, intimo e pubblico

Roma 2019

Incremento di pubblico per Alice nella città

Bilancio positivo per il festival dedicato ai ragazzi, che ha registrato un incremento del 29% alle biglietterie, 6000 biglietti in più rispetto al 2018. "Nel tempo siamo riusciti a costruire un rapporto diretto e autentico con tutto il pubblico, partendo dalle scuole, fino ad arrivare agli accreditati e alla critica". Così dichiarano i direttori Fabia Bettini e Gianluca Giannelli

Roma 2019

Jean-Pierre e Luc Dardenne: Starlight Award

Il premio è stato consegnato ai due registi belgi durante la 17ma edizione di Alice nella Città da Angela Prudenzi, Francesca Rettondini e Cristina Scognamillo

Roma 2019

La Cecchi Gori in doc: “Storia d’Italia è Storia del cinema, e viceversa”, per Vittorio

CECCHI GORI - Una Famiglia Italiana: dopo la mostra fotografica, la Festa ospita il documentario, per la regia a quattro mani di Simone Isola e Marco Spagnoli, prodotto da Giuseppe Lepore per Bielle Re, che ha curato la realizzazione dell’intero progetto dedicato alla dinastia che ha fatto grande parte del cinema italiano


Ultimi aggiornamenti