Pasolini e la morte dell’Africa

A cura di Gianni Borgna e con la supervisione artistica di Enrico Menduni, Profezia. L’Africa di Pasolini, documentario nella sezione Venezia Classici


VENEZIA – A cura di Gianni Borgna e con la supervisione artistica di Enrico Menduni, Profezia. L’Africa di Pasolini, presentato nella sezione Venezia Classici, è un documentario che esplora, attraverso la poesia e il cinema, l’amore di Pasolini per il Terzo Mondo e le speranze in esso riposte dal grande poeta e regista: “E’ un periodo poco esplorato della vita di Pasolini – dichiara Menduni – nell’Africa lui cercava contemporaneamente la purezza contadina e la genuinità ancora non contaminata dalla modernità, e insieme una forza rivoluzionaria che non aveva trovato nel suo amato Friuli. A inizio anni ’50, a Roma, Pasolini era diventato il poeta delle borgate, trovando inizialmente tra muratori, malviventi e immigrati il mondo che a suo parere meglio rappresentava questa genuinità rivoluzionaria. Ma l’illusione si spezza presto, scontrandosi con il neo-capitalismo, la televisione e l’omologazione, che tradiscono le borgate. Le borgate, anzi, si imborghesiscono e la borghesia diventa borgatara”.

L’Africa pasoliniana ha confini sfrangiati, incerti, che nasce – sono parole del poeta – nelle stesse periferie descritte nel suo primo film Accattone. Le favelas di Rio come le baracche del Pigneto. Di qui prende le mosse il film: dove vivevano i sottoproletari romani, oggi si affollano migliaia di extracomunitari. Edipo re e Appunti per un’Orestiade africana testimoniano l’amore del poeta per il continente, come il dialogo parigino con Jean-Paul Sartre a proposito del Vangelo secondo Matteo, ma, soprattutto nel La Rabbia è tratteggiata un’Africa che reca su di sé tutte le ingiustizie e tutte le speranze. Anch’esse andranno deluse in un serbatoio di contraddizioni insanabili che esploderanno nel degrado, nelle dittature, nei massacri.

L’idea che Pasolini aveva di Africa si spegne e muore prematuramente, proprio come lui: “Il documentario si sviluppa su tre livelli – racconta ancora Menduni – la traiettoria di Pasolini, quella del suo concetto di Africa, ma anche quella di Accattone. Quel film è intriso di metafore sulla morte: cimiteri, obitori, morti ammazzati. Lo abbiamo usato, assieme al materiale d’archivio, per poter alludere alla morte di Pasolini senza scadere nel martirologio, che non c’interessava. Pasolini non aveva alcuna voglia di diventare un martire: voleva vivere, giocare a calcio. Abbiamo trovato una clip di uno dei suoi rari film da attore, Il gobbo, poco ricordato perché non ne esistono copie in dvd. Ebbene lì lui interpretava un rivoluzionario, vessato dal caporale della polizia di Salò (interpretato da Ivo Garrani), che gli diceva ‘tu vuoi fare una brutta fine’. E lui rispondeva: ‘no, non voglio fare una brutta fine!’. Ci è sembrato funzionale a raccontare un’immagine di Pasolini non oleografica, ma piuttosto a costruire una scolastica pasoliniana. Tra l’altro, da quel film venne fuori uno snap-shot di Pasolini con un mitra in mano, che poi i giornali di destra usarono per alimentare una polemica contro di lui quando litigò con un benzinaio, per dare l’idea che lo avesse rapinato”.

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01 Settembre 2013

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