ParaNorman: piccoli spaventi, grande insegnamento


Tra l’ultimo Batman che perde colpi sulla sceneggiatura e un Prometheus che non mantiene ciò che promette, il cinema fantastico ‘adulto’ attraversa un momento creativamente controverso. Ci si trova così a constatare che, ultimamente, i migliori esempi di scrittura ‘di genere’ vengono dal mondo dell’animazione, ormai sempre più lontano dallo stereotipo dell’intrattenimento esclusivamente ‘per ragazzi’. Ne era un ottimo esempio il Ribelle – The Brave della Pixar e lo è anche ParaNorman, dai realizzatori di Coraline e la porta magica, Focus Features e LAIKA, in sala con Universal l’11 ottobre.

 

Sono lontani i tempi delle Silly Symphonies e delle canzoncine: i cartoon di oggi, pur senza rinunciare a una certa vis comica, sono in grado di spaziare tra molteplici atmosfere, compresi l’epos, l’horror e il dramma, e in questo senso ci avviciniamo sempre di più al modo nipponico di fare animazione, dove il disegno è solo una tecnica e non l’indicazione di un genere specifico.
In ParaNorman, tanto per dire, abbiamo una bambina morta, violenza, bullismo, emarginazione, zombi e fantasmi, con una serie di richiami al cinema horror degli anni passati che gli appassionati si divertiranno moltissimo a cogliere: da Il Sesto Senso a The Blair Witch Project, passando per The Ring e i morti viventi romeriani. Sembrerebbe un film non adatto ai ragazzi, e invece è l’esatto contrario, perché tutto è trattato con i giusti toni, e a ogni (piccolo) spavento, come nella miglior tradizione fiabesca, corrisponde un grande insegnamento. Se qualcuno ci fa del male, non significa che siamo autorizzati a farne ad altri. E cose così.

 

C’è anche tanto gusto per l’avventura, che con il macabro, fin dai tempi di Tom Sawyer, ci va a braccetto. Poteva essere un film ‘live action’ degli anni ’80 con adolescenti + mostro, insomma, sul modello de I Goonies, del televisivo It o del gioiellino Scuola di mostri (chi se lo ricorda?), ma anche della popolare serie Scooby Doo, più volte visivamente citata.

La storia è ambientata nella città di Blithe Hollow, sede 300 anni fa di una spietata caccia alle streghe. L’undicenne Norman Babcock trascorre le sue giornate a guardare film dell’orrore e a studiare i fantasmi, che riesce a vedere grazie a una capacità speciale ereditata da sua nonna. In gamba ma introverso, Norman preferisce spesso la compagnia dei defunti a quella dei suoi familiari – che non gli credono – o dei suoi compagni di scuola, che lo prendono in giro. Suo zio Penderghast è un vecchio barbone con il suo stesso dono, e un giorno informa il ragazzo che un’antica maledizione si sta per avverare. Norman è l’unico in grado di impedire che i morti tornino a camminare sulla terra…

Analogamente all’imminente Frankenweenie di Tim Burton – autore a cui le atmosfere del film, peraltro, si avvicinano –ParaNorman è stato realizzato con la tecnica ‘a passo uno’, ovvero fotografando modellini fotogramma per fotogramma. “E’ un processo che risale agli albori del cinema – dice il produttore Travis Knight – con un fascino, un calore e una bellezza che nessun’altra forma di animazione può regalare. Per ottenere il massimo, bisogna considerare ogni ripresa un’acrobazia”. “I personaggi sono tangibilmente reali dice – aggiunge la produttrice Arianne Sutner – i set che li circondano sono costruiti a mano, tutto è raffigurato tridimensionalmente”.

E tridimensionale, in senso stereoscopico, è anche la pellicola, con un effetto per una volta non forzato, che ricorda tanto i B-Movie degli anni 50 a cui il film, ideale per celebrare Halloween, parzialmente fa riferimento. Attenzione a Mitch, il ‘mister muscolo’ di turno: anche lui riserva sorprese che in un contesto del genere non ci aspetteremmo.

autore
09 Ottobre 2012

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