L’infanzia è un luogo di passaggio, uno spazio felice in cui dare sfogo – per la prima e forse ultima volta – al proprio desiderio di libertà. Ne sono espressione vibrante e inconsapevole le tre protagoniste di Paradise is burning, l’opera prima di Mika Gustafson che arriva nelle sale italiane dal 29 agosto con Fandango, quasi un anno dopo la vittoria del premio per la Miglior regia nella sezione Orizzonti dell’80ma Mostra del Cinema di Venezia.
Nella verde periferia di un quartiere operaio svedese, le tre sorelle Laura (sedici anni), Mira (dodici) e Steffi (sette), stanno vivendo i primi scampoli di un’estate che si preannuncia essere all’insegna della totale spensieratezza. Piccoli atti di taccheggio e di violenza non sono, però, espressione di una semplice ribellione giovanile, ma di qualcosa di più profondo: le tre ragazze vivono da sole da mesi, abbandonate per l’ennesima volta da una madre assente. Quando e se tornerà a casa non è dato saperlo e a loro non sembra interessare più di tanto, fino a quando Laura non riceve una chiamata che cambierà tutto. I servizi sociali hanno in programma una visita per controllare la situazione e se non troveranno un adulto in casa le daranno in affidamento, forse separandole, o comunque ponendo fine alla loro libertà. Senza dire niente alle più piccole, la sorella maggiore andrà alla ricerca di una donna che possa prendere il posto di sua madre e prolungare, anche solo temporaneamente, il paradiso di tragica spensieratezza in cui si trovano a vivere.
Laura è chiamata a diventare adulta prima del tempo: qualcosa a cui anche Mira e Steffi ambiscono. Ma il mondo degli adulti che le circonda non è affatto un luogo felice in cui abitare, soprattutto se si è donne. Attraverso degli incontri inaspettati, ognuna, a suo modo, sperimenterà indirettamente la frustrazione e la solitudine che si ottiene una volta che si esce dall’infanzia, in una storia di formazione in cui l’unica speranza è una sorellanza che travalichi il nucleo familiare, raggiungendo una comunità quasi interamente al femminile, in cui ballare, divertirsi e sentirsi vive.
“Paradise is burning è una dichiarazione d’amore alla sorellanza. – dichiara la regista – A coloro che conoscono la tua storia e ti hanno reso ciò che sei. Un legame che è più forte di tutto il resto. Una benedizione e una maledizione allo stesso tempo. Per me il film parla della transitorietà del tempo e della vita. Di ricordi e riconciliazione. Voglio mostrare cosa significa essere un essere umano in quei momenti in cui l’euforia della libertà si scontra con la disperazione totale e con l’umorismo quotidiano che c’è in mezzo”.
Quello di Mika Gustafson è un esordio sorprendente non tanto per la capacità di dirigere un cast giovanissimo, raccontando al contempo uno spaccato di società svedese, quanto per la straordinaria capacità di restituire, con una regia frenetica e un montaggio incalzante, il caos anarchico in cui vivono le protagoniste. Le tante scene di spensieratezza giovanile, gli inserti onirici, la frammentarietà narrativa tutto va nella direzione di replicare su schermo una libertà assoluta e senza vincoli che ricorda quello della beat generation. Come se il Giovane Holden si fosse reincarnato nei caratteri delle tre sorelline, sfrontate, indipendenti, vibranti di energia vitale. Una storia di formazione al femminile, fresca e originale, che ci restituisce lo sguardo di un’autrice di cui sentiremo ancora parlare.
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