NAPOLI – Paolo Genovese è ospite della 20esima edizione del Napoli Film Festival per presentare il suo romanzo, Il primo giorno della mia vita da cui sicuramente trarrà un film che girerà interamente negli Stati Uniti, a New York.
Dopo gli ultimi due film arriva una storia scritta, indipendente. Di cosa parla il suo romanzo?
Il primo giorno della mia vita è un romanzo che nasce in maniera autonoma, nasce dall’urgenza di raccontare una storia. Perfetti sconosciuti e The Place sono due film che vanno a scandagliare la parte ‘cupa’ dell’animo umano, i nostri demoni. Hanno un filo rosso nonostante siano due storie completamente diverse: Perfetti sconosciuti si riferisce a quanto poco conosciamo le persone che ci stanno intorno, The Place invece parla di quanto poco conosciamo noi stessi. Ne esce il ritratto di un’umanità difettosa. Il primo giorno della mia vita, invece, sarà un film positivo, anche se paradossalmente parte da un suicidio.
Questo è l’incipit, come si sviluppa la storia?
Ci sono quattro persone completamente diverse tra loro che sono arrivate a toccare il fondo e, casualmente, in posti completamente diversi, scelgono la stessa notte per farla finita. Un attimo prima, un uomo misterioso, una specie di angelo senza ali ma con un cuore enorme, li ferma e propone loro una settimana di tempo per farli innamorare di nuovo della vita. È la storia di una poliziotta che ha perso la figlia, un life coach, una campionessa olimpica finita sulla sedia a rotelle, un bambino bullizzato, divo della pubblicità. Un gruppo che farà delle esperienze diverse, anche surreali, perché questa specie di angelo ha qualche potere molto particolare. È un gruppo di persone che vogliono essere salvate.
Cosa le è rimasto dalla scrittura di questo romanzo?
È stato un bel percorso di due anni che mi ha fatto analizzare in tutti i modi possibili e immaginabili le cose che per me sono importanti, da quando sono nato ad oggi, in un modo romanzato. Questi personaggi vedono come continua la vita senza di loro, hanno la possibilità di vedere il loro funerale, una cosa che mi ha sempre incuriosito.
Sia il romanzo che il futuro film sono ambientati negli States, giusto?
La storia nasce a New York, dove tutto può succedere, è una città che ha un pizzico di magia. È una città dove se tu racconti di un piccolo negozietto nell’East Village, vicino a Chinatown, dove c’è un uomo che ti regala una settimana della sua vita per cercare di salvare la tua, ci credi, è un posto dove siamo abituati a veder capitare di tutto. In Italia forse Napoli è una città come New York: intestinale, piena di contraddizioni e allo stesso tempo piena di magia.
Come sarà il film?
Sarà un film in lingua inglese ma non ho ancora in mente gli attori. Per la scelta del cast internazionale, a differenza dell’Italia, c’è un iter più burocratico, più strutturato, non è così immediato. A me piace molto il cinema indipendente americano, quella recitazione per sottrazione, i film indie. Gli attori più rappresentativi di questo stile sono James Franco, John Turturro, Steve Buscemi, Paul Giamatti, Marisa Tomei. È un mondo che mi piace tanto. Ma è più complicato che da noi, dove conosci tutti e con una telefonata chiami, non so, Marco Giallini e gli racconti la storia e se gli piace farà il film. Negli Stati Uniti si parte dal budget e sai già che sopra la linea non prenderai determinati attori.
Dei suoi film, soprattutto Perfetti sconosciuti, sono stati fatti molti remake. Lo considera un successo?
Devo essere sincero: non mi è piaciuta l’idea che facciano il remake di un mio film. Il film è mio, l’ho pensato in un certo modo, perché qualcuno me lo deve storpiare? Le storie sono molto personali e vederle parzialmente modificate non ti fa piacere. Dovremmo, invece, avere l’orgoglio del cinema nazionale, come fanno i francesi, far uscire il nostro film all’estero, far conoscere i nostri registi e gli attori, non farcelo rifare spesso con risultati dubbi.
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