Palazzina Laf, Riondino: “il mio esordio? Un film politico e sociale”

L'attore passa dall'altro lato della cinepresa e dirige il suo primo film: una storia ispirata a fatti veri avvenuti all'Ilva di Taranto


ROMA – Alla Festa del Cinema di Roma 2023 anche l’esordio alla regia di Michele Riondino, che firma un film “politico e sociale” sulla storia vera che portò l’Ilva di Taranto al centro della prima sentenza di mobbing in Italia. L’attore, nato e cresciuto nei pressi del complesso industriale (padre e fratello hanno lavorato nell’acciaieria), è da tempo vicino alle istanze della città, di cui Palazzina Laf racconta l’ennesima ingiustizia ai danni di operai e impiegati. “Ci ho messo tanto tempo per dire la mia verità – racconta Riondino – ho voluto farlo attraverso verità oggettive, fonti dirette e carte processuali”.

Siamo nel 1997 e all’interno dell’Ilva di Taranto una palazzina un tempo adibita a Laminatoio a freddo è stata convertita in luogo di reclusione per impiegati “scomodi”. Certi del declassamento, quando non vicini proprio alla follia, gli inquilini della Palazzina Laf non possono fare nulla: sono destinati all’alienazione. “Era un monito per gli altri lavorati” spiega Maurizio Braucci, che ha sceneggiato Palazzina Laf assieme a Riondino (anche protagonista del film), “purtroppo la palazzina Laf non è un caso isolato in Italia”. A rendere delicati quegli anni, che resero possibile una tortura come la Palazzina Laf, le proteste degli operai per la “novazione” del contratto, la cancellazione del ruolo svolto fino a quel momento da impiegati per approvare una nuova posizione minore.

La stesura del film ha richiesto sette anni e quasi tutti personaggi e situazioni sono tratti da storie reali. “I racconti che ho raccolto in questi anni – prosegue Riondino – hanno dell’incredibile, abbiamo dovuto creare una cornice di credibilità a storie assurde”.

Una narrazione tragica e comica allo stesso tempo: una galleria di personaggi assurdi ma verissimi si sussegue tracciando il ritratto di un’ingiustizia che fu possibile con la connivenza di molti colleghi dei reclusi, del silenzio dei sindacati e dell’efferatezza dei dirigenti, che all’epoca chiedevano ai dipendenti di fare da spia tra le “teste calde” dell’acciaieria, punendo chi si rifiutava. Questo accadde a Giuseppe Palma, la cui storia è una delle tante a cui Riondino e Braucci hanno guardato per Palazzina Laf. “La mia esperienza è stata veramente drammatica”, racconta commosso Palma, “fui chiamato codardo per aver rifiutato la sua richiesta, così è cominciata la mia storia”. A incarnare la dirigenza di allora è Elio Germano, amico di Riondino e da subito – “appena ha letto la sceneggiatura” – coinvolto dall’importanza di questo racconto. I due interagiscono con grande ritmo sulla scena, premiando Palazzina Laf, che riesce a raccontare un inferno a cui sembra non esserci fine, ma anche a essere un’ottima prima prova di cinema per Riondino.

Alessandro Cavaggioni
21 Ottobre 2023

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