‘Out Of The Blue’. Diane Kruger, dark lady col figlio di Jack Nicholson

Il film di Neil LaBute, con anche Ray Nicholson, titolo di apertura della 33a edizione del Noir in Festival: un gioco tra passato e futuro, tra femminile e maschile, tra una virago nello spirito e il suo malleabile vassallo


MILANO – L’apertura della 33a edizione del Noir in Festival è affidata a un film americano interpretato da un’attrice di razza, Diane Kruger, e dall’erede di un grande nome, Ray Nicholson, figlio di Jack: Out Of The Blue di Neil LaBute.

L’esistenza umana viene fesa da fasi, le più opposte talvolta, e quella di Connor Bates (Ray Nicholson) vive una stagione di immobilità, conseguenza di un periodo di detenzione: l’accusa era di aggressione. La sua quotidianità si cadenza tra l’impegno lavorativo in biblioteca e un tempo libero fatto di sessioni di nuoto e corse, tasselli metodici tessuti con l’intento di ricomporre il quadro della propria vita.

È però l’incontro con Marilyn Chambers (Diane Kruger), moglie di un ricco uomo d’affari, a essere imprevisto e scombussolare quel vivere di lui ancora incerto e tutto da rifondare: il coinvolgimento è tutt’altro che progressivo, se i corpi sono sopraffatti dall’istinto, le menti non hanno minor intimità, tanto da essere capaci – in una manciata irrisoria di tempo – di parlare dell’omicidio del marito di lei, violento e col bagaglio di una figlia (per lei, figliastra) vulnerabile.

Neil LaBute crea un gioco tra passato e futuro, tra femminile e maschile, tra una virago nello spirito e il suo malleabile vassallo, fuggiasco poco determinato dal tempo che fu.

Kruger e Nicholson sono esteticamente pertinenti per giocare a contrasto rispetto al disegno dei ruoli: lei bionda e algida, viso d’angelo – d’altronde, il maestro Hitchcock insegna debbano essere così le signore più misteriose e feroci -, lui una faccia da bambino cresciuto: potrebbero mai questa fanciulla eterea e questo giovane uomo dall’espressione pulita essere le anime nere di un omicidio? È un maschio docile laddove non addirittura remissivo, quello presentato dal regista.

C’è la tensione del thriller e quella dell’erotismo, ci sono gli stilemi dei due generi, mai sfacciati e piuttosto sottotraccia, ma non da cliché: certo, Marilyn è una signora nera, una dark lady, è bella e fatale, ma anche camaleontica, perché sfugge e cangia dietro l’apparenza garbata.

Maryln vampirizza Connor sotto la luce del sole e così LaBute mette in scena un noir classico, cercando anche una commistione estetica, a tratti pubblicitaria, a tratti con una memoria da Muto, come quando intermezza sequenze con cartelli che scandiscono “poco tempo dopo”, “tre giorni dopo”, appunti temporali del racconto sì, ma anche progressioni capaci di innescare e dar eco all’attesa dell’imminenza di qualcosa che porta con sé pennellate d’ansia e imprevedibilità.

È il finale a lasciare con un interrogativo, sul film e sociale: la femme fatale, per la sua essenza, può soverchiare il patriarcato, senza mantenere con lo stesso un termine semmai dominante di confronto, ma piuttosto raggiungendo la propria autonomia di potere?

 Il film sarà distribuito da Eagle Pictures.

Nicole Bianchi
02 Dicembre 2023

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