I cinque cerchi dei giochi olimpici simboleggiano i cinque continenti che racchiudono tutte le nazioni partecipanti e i loro diversi colori (più il bianco di sfondo) sono presenti nelle bandiere di tutte le nazioni che aderirono al movimento olimpico moderno fin dalla prima cerimonia del 1896 in Grecia. Ma nella lunga e controversa storia d’amore tra il cinema e il più grande evento sportivo, singoli personaggi, discipline e vicende nazionali hanno spesso preso il sopravvento su quest’idea ecumenica in capo al fondatore, Pierre de Coubertin. La scheda di Wikipedia ci rimanda a 46 titoli collegati ai Giochi e 19 film direttamente commissionati dagli organizzatori. Il più antico è certamente Le jeux Olympiques del 1925. Tre ore d’immagini mute, scelte dal francese Jean de Rovera, dedicate agli eroi della VIII olimpiade di Parigi: su tutti il fondista Paavo Nurmi, il nuotatore Johnny Weissmuller (poi destinato da Hollywood a vestire il succinto costume di Tarzan), l’inglese Harold Abrahams che ritornerà sullo schermo in Momenti di gloria impersonato da Ben Cross per la regia di Hugh Hudson e con l’immortale colonna sonora di Vangelis premiata all’Oscar. Una curiosità: il produttore esecutivo era Dodi Al-Fayed e fu anche grazie ai suoi soldi che David Puttnam poté alzare il primo di quattro Oscar (miglior film) nel 1982.
Ma riavvolgiamo il nastro verso le origini. Qui troviamo Pippo Tedoforo e atleta pasticcione ne Il campione olimpico di Jack Kinney, girato in technicolor nel 1943 per la serie Goofy di Walt Disney. Ma soprattutto Charlie Chan (ovvero Warner Oland), implacabile investigatore coinvolto in ben quattro casi criminali legati ai Giochi, a cominciare da Charlie Chan alle Olimpiadi del 1937. E’ proprio la molto discussa edizione berlinese del 1936 a vincere la Palma della più gettonata dal cinema. Hitler chiamò – è storia nota – Leni Riefenstahl a filmare le gare per il mastodontico Olympia apparso in due parti nel 1938 e sappiamo come il dittatore molto si risentì per l’attenzione prestata dalla regista a Jessie Owens che convinse addirittura a ripetere il salto in lungo in favore di cinepresa per avere il risultato migliore. La sua storia, i retroscena delle pressioni naziste sul delegato americano Avery Brundage, i sabotaggi ad atleti non ariani si trovano soprattutto in Race – il colore della vittoria, una colorata biografia dell’atleta messa in scena da Stephen Hopkins. Meno nota è invece la storia di Gretel Bergmann, formidabile saltatrice in alto che era la predestinata alle stesse Olimpiadi ma che, in quanto ebrea tedesca, fu messa ai margini della squadra e alla fine costretta a rinunciare in favore della sua compagna di stanza Marie Ketteler. Questa sbagliò di proposito l’ultimo salto per solidarietà con Gretel e non rivelò di essere in verità…un uomo.
Nella storia ufficiale dell’Olimpiade il cinema entra spesso dalla porta maggiore: per raccontare Helsinki 1952 debuttò Chris Marker; Romolo Marcellini (gigante del documentario bellico e collaboratore di Rossellini) filmò Roma 1960; Kon Ichikawa l’edizione 1964 di Tokyo (e l’anno dopo finì fuori concorso a Cannes), Zhang Yimou coreografò la cerimonia inaugurale di Pechino 2008, Daniel Craig simulò il lancio col paracadute abbracciato alla Regina Elisabetta a Londra 2012; ma oltre a Olympia di Leni Riefenstahl e Munich di Steven Spielberg, due opere restano indimenticabili e sono entrambe legate all’altra faccia delle Olimpiadi, quelle invernali. Si tratta di Cool Runnings – Quattro sottozero diretto da Jon Turtletaub nel 1993 e La mossa del pinguino, debutto di Claudio Amendola regista nel 2014. Sono memorabili perché usano il pretesto sportivo per intingere lo sport di commedia e perché rendono eroi sia i quattro eroici e infreddoliti corridori di bob della Giamaica (nel primo caso) che la scalcinata squadra di curling del secondo, con Edoardo Leo, Ricky Memphis, Ennio Fantastichini e Antonello Fassari.
Le Olimpiadi si sono a più riprese colorate di sangue come naturale e orrendo riflesso della politica e delle tensioni internazionali. Nel novembre del 1956 a Melbourne finirono in semifinale del torneo di pallanuoto le nazionali di Ungheria e Russia, mentre era in atto l’occupazione di Budapest da parte dell’esercito dell’Armata Rossa. La tensione contagiò immediatamente le due squadre e la gara finì in rissa violenta con la vittoria finale degli ungheresi che poi avrebbero conquistato la medaglia d’oro. 50 anni dopo, nel 2006, l’ungherese Krisztina Goda ne raccontò gli intrecci in Children of Glory mentre Quentin Tarantino e Lucy Liu produssero Freedom’s Fury, il documentario di Colin K. Gray con la voce narrante di Mark Spitz. Qui si ricostruì la “partita di sangue” con le testimonianze dei veri protagonisti. Altrettanto scrupolosa, ma in chiave di fiction, è la cronistoria delle Olimpiadi di Monaco ’72 da parte di Steven Spielberg che però si concentra soprattutto sulla “vendetta” di Israele, con la caccia spietata ai presunti killer palestinesi da parte della squadra speciale voluta da Golda Meir e guidata da Avner Kaufmann del Mossad.
Se i protagonisti più ricorrenti dei Giochi al cinema sono i corridori, maratoneti in testa come nell’epico L’atleta – Abebe Bikila (2009) di Davey Frankel e Rasselas Lakew dedicato al due volte campione etiope, va meglio a sciatori, pattinatori e hockeisti alle prese con la versione invernale della competizione. Restano nella memoria Robert Redford in gara nella discesa libera per Gli spericolati di Michael Ritchie con cui gli americani scoprirono gli sport alpini nel 1969; Margot Robbie nei panni della discussa pattinatrice Harding in Tonya di Craig Gillespie (2017) o Kurt Russell in Miracle di Gavin O’Connor (2004) sull’impresa della squadra di hockey su ghiaccio alla conquista dell’oro nel 1980.
E poi ci sono i miei “preferiti, inclassificabili secondo il metro degli sportivi: l’insuperata commedia senile di Cary Grant Cammina non correre (Charles Walters, 1966) con il compito gentiluomo inglese che non trova una stanza a Tokyo causa olimpiadi e si trasforma in affettuoso cupido per il giovane Jim Hutton; l’elegiaco Un ragazzo di Calabria di Luigi Comencini (1987) sul sogno di un adolescente con negli occhi l’impresa di Bikila a Roma ‘60; The Golden Temple di Enrico Masi che documentò l’altra faccia di Londra 2012, mostrando come un simile mastodonte sportivo segni per anni la vita della comunità locale. Ma il gradino più alto del podio non ha rivali: Asterix alle Olimpiadi (2008) di Frédéric Forestier e Thomas Langmann, commissionato in tempo per le olimpiadi di Pechino. A parte la coppia Depardieu/Cornillac sono Alain Delon (Cesare) e Benoît Poelvoorde (Bruto), il duo italiano Luca&Paolo e il druido Jean-Pierre Cassel a fare la differenza. Una farsa da non perdere, tra le migliori nella storia di Goscinny&Uderzo al cinema.
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