‘Nuovo Olimpo’, Özpetek: “I sentimenti sono bellissimi, non bisogna catalogarli”

Un amore nascente interrotto repentinamente, tra due uomini, ventenni nella Roma Anni ’70: il film, con la partecipazione di Luisa Ranieri, e le musiche di Andrea Guerra, esce su Netflix dal 1 novembre


Sembra evocare qualcosa di superiore, di esotico, un po’ com’è il sentimento amoroso, inafferrabile e paradisiaco – e la metafora probabilmente sussiste – ma il Nuovo Olimpo di Ferzan Özpetek è anzitutto un cinema, nella Roma Anni ’70, una sala che proietta grandi film della Storia del Cinema ma nei cui corridoi non solo si fuma, o tra le sedute di legno non solo si guarda il grande schermo, perché lì c’è tutto un mondo maschile che quella sala la usa come anticamera per possibili incontri intimi.

“Da 7/8 anni pensavo di raccontare questa storia, era quasi un’esigenza, e poi ne ho parlato con Gianni Romoli (sceneggiatore) e abbiamo detto: ‘rischiamo’. Non è autobiografico ma quasi, ci sono tante cose della mia vita ma non esattamente: per me è come mettere il punto finale del romanzo e girare la pagina, e girando vedrete cosa combinerò…”, così Özpetek racconta la nascita del progetto, in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2023.

È ispirato a una storia vera, questo film scritto dallo stesso Özpetek, che l’ha sceneggiato con Romoli appunto, anche produttore insieme a Tilde Corsi, ed è la storia di Pietro (Andrea Di Luigi) e Enea (Damiano Gavino), studente marchigiano di Medicina l’uno, nella Capitale di passaggio per accompagnare la madre, e allievo di Cinema il secondo, romano, amico-fidanzato-amante della compagna di studi Alice (Aurora Giovinazzo), poi perenne “compagna” di vita, colei che sin da sempre conosce quel giovane uomo di cui è e resterà perdutamente innamorata in eterno, pur sapendo – e con lui dapprima parlandone apertamente, guidata da una forma di libertà mentale senza pregiudizio – che lui non le sarà fedele, essendo attratto anche all’universo maschile.

“Io non racconto l’omosessualità o l’eterosessualità, ma le persone. Come nella vita, con le donne come con gli uomini, mi piace lo scambio d’affetto. I sentimenti sono bellissimi, non bisogna catalogarli. La cosa più importante nel film era raccontare quell’Italia degli Anni ’70 che io ho amato e scelto: creare quei luoghi, quel cinema, mi metteva ansia, invece le scenografe e il gruppo di lavoro sono stati molto bravi. Per gli attori, all’inizio volevo sceglierli sui 35/36 anni per una via di mezzo per ringiovanire/invecchiare ma ho chiesto ai maghi del trucco e mi è stato permesso di abbassare l’età, così ho fatto. Io credo molto che l’attore non debba entrare nel personaggio, ma debba avvicinarsi…”.

Sullo schermo, è una mappa, che il romano lascia al marchigiano, dopo un primo approccio timido, soprattutto da parte del discretissimo Pietro, a lasciare la traccia indelebile di questa storia: è la vecchia ma elegante casa disabitata di una nonna a fare da alcova al loro primissimo incontro, primissimo amplesso, lì in quel luogo in cui “…il tempo e lo spazio non ci separeranno…”, queste le parole scritte a mano sulla cartina con l’indicazione dell’indirizzo, parole che rimarranno non solo appuntate sulla carta ma scolpite per sempre nell’animo.

Di Luigi – al suo primo film – ricorda con Özpetek: “il primo incontro, al provino: mi disse che non gli piacevano i miei baffi. Poi abbiamo fatto una chiacchierata e forse lì ha visto ci fosse qualcosa in comune con Pietro. C’è sempre stato un grande ascolto e poi anche lo sconvolgimento della sceneggiatura sul set, erano momenti creativi: è stato un percorso guidato da un grande maestro, a cui mi sono sentito di affidarmi”. Mentre per Damiano Gavino “uno dei ricordi più belli che ho del set è l’ingresso per la prima volta nel cinema, che raccontava un cinema che non ho vissuto, e l’epoca ci ha aiutato a trasformarci nei personaggi, come anche i vestiti di scena; era tutto così diverso dalla realtà in cui viviamo, penso anche ai rapporti, agli incontri: un tempo ci si incontrava dal vivo e ci si innamorava di ciò che si era conosciuto, e non solo visto”.

E la voce di Mina torna per Özpetek, nell’armonia e nelle parole di una non casuale E se domani… – ma non solo – ad accompagnare lo svolgimento di un film che procede su piani temporali che portano agli Anni ’90 e poi al presente più stretto: l’imprevista degenerazione violenta di una manifestazione di piazza li ha fatti perdere “per sempre”, quei due ventenni attratti non solo nei corpi – non allusi, non sott’intesi, ma mostrati, sempre, forse anche con un po’ di non necessaria insistenza, eppure nella naturalità della nudità esplicita; ma siccome la vita continua Enea e Pietro diventano adulti, eppur non dimenticandosi, finché Titti (Luisa Ranieri), la storica cassiera del Nuovo Olimpo, tempio ormai chiuso da tempo, incontrando casualmente Enea riferisce di conservare da allora una lettera, di Pietro.

Ed è “grazie a Mina, che non sapeva avrei truccato Luisa così, che Luisa mi stata suggerita: dapprima non pensavo a lei, perché avevo in testa la Titti che conoscevo, ma è stata proprio Mina a farmi pensare a lei; anche se non sapevo ancora fosse giusta, l’ho chiamata e ne abbiamo parlato. Il suo personaggio s’è sviluppato e lei è come un piatto di pasta meraviglioso: lo desideri, lo mangi, poi vorresti far la scarpetta, a me lei fa impazzire. E anche Greta Scarano (che interpreta la moglie di Pietro) è stata fondamentale per il suo ruolo perché ha suggerito cose azzeccatissime a me e Gianni: l’ultimo quarto d’ora del film l’abbiamo trasformato insieme, man mano”.

Per la Ranieri è “la mia terza esperienza con Ferzan, che quando ti chiama è sempre una festa, anche per i personaggi piccoli sulla carta ti dà sempre la possibilità di dare un colore in più. Lui voleva fare un omaggio a Mina, che fossi vestita, truccata, come lei negli Anni ’70, e già questo a me ha aperto un mondo, una bellissima strada. Per la scena finale con lei anziana ci è venuto in mente di rendere la sua solitudine sin da prima, ecco lei sempre al telefono del cinema con… nessuno, per riempire il vuoto”.

Mentre Scarano dice di aver “avuto proprio la sensazione di far parte di un racconto che parla di sentimenti con la S maiuscola, l’amore in tutte le sue tante forme, e non è cosa che capiti spesso. Mi è piaciuto tantissimo dar vita a questa donna che non possiede mai veramente l’uomo che ama, lo ama incondizionatamente, lui nasconde un grande mistero ma lei lo ama tantissimo: lei nutre una forma d’amore purissima, altissima, la forza motrice del rapporto con lui”.

Nel film, infine, Pietro adesso è un oftalmologo, sposato, mentre Enea vive – nella casa della suddetta nonna – con Antonio (Alvise Rigo), il suo assistente personale. Nell’apparente disegno definito di queste due vite però scoppia, letteralmente, una situazione che circolarmente – giocando con il senso della vista, del guardare, del guardarsi – sembra… possa riportare Enea a Pietro, e viceversa.

Özpetek per le musiche torna a lavorare con Andrea Guerra, che racconta: “è pericoloso lavorare con Ferzan, perché chiede sempre il tema prima: così lo scrivo in una giornata e getto questa monetina, glielo mando, aspettando di sapere cosa ne pensi; ma, una volta che gli piace, è di un coraggio strepitoso, perché lui vuole che il significato cambi, cresca, e questo è tutto quello che vorrebbe sempre un musicista”.

Il film è disponibile su Netflix dal 1 novembre, la prima volta del regista sulla piattaforma e lo stesso Özpetek spiega che la sfida è stata misurarsi con un metodo di lavoro che non mi imponeva limiti, ma “io avevo bisogno dei limiti, anche per produrre più creativamente, ma loro così mi hanno dato molte opportunità. Per il montaggio, altri registi, mi avevano avvertito che avrebbero rotto e invece mi hanno detto il loro pensiero dopo aver visto il film: io sono molto aperto di mentalità ed è stato magico il lavoro insieme; non uscire in sala è una sensazione strana, sì, è come fare una cena in due/tre, mentre uscire al cinema è come una cena di 20 persone, però anche se i miei film sono usciti nel mondo, così entro nelle case delle persone di 190 Paesi. E non avrò l’ansia di essere candidato ai vari premi, anzi spero di consegnare io qualche David o altro”.

Festa del cinema di Roma 2023

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