Nicole Kidman: “Babygirl è una crisi, una storia liberatoria, di sesso, desiderio, potere e consenso”

Il film di Halina Reijn in Concorso, con l’attrice australiana accanto a Harris Dickinson e Antonio Banderas per cui “questa sceneggiatura ha il coraggio di mettere sullo schermo quello che tutti pensiamo; siamo animali, prigionieri dei nostri stessi istinti”


VENEZIA – Il potere, l’onestà, il desiderio, l’ambizione, la moralità, l’intelligenza emotiva.

È la settimana di Natale a New York, Romy (Nicole Kidman) è la potente AD di una società di e-commerce, mamma di due figlie adolescenti, moglie di Jacob (Antonio Banderas), regista. La professione la assorbe, il cellulare è un’estensione perenne della sua persona, che di sé ha contezza di essere tanto eccellente nella professione, dedita alla cura di chi le sta a cuore, ma anche attanagliata da “idee oscene”.

Qual è la normalità che cerca il personaggio di Kidman? Lei viene battezzata Babygirl, questo il titolo del film di Halina Reijn, in Concorso a Venezia81, storia di un’intimità personale in cui la ricerca del piacere fisico e la fantasia sessuale femminile sono il cuore della vicenda.

Per Kidman, “il film parla di sesso e desiderio, dei nostri segreti: verità, potere, consenso. Spero sia una storia liberatoria, perché raccontata dallo sguardo di una donna, come donna è Halina e essere nelle sue mani mi rassicurava sul non essere sfruttata. Mi sono sentita protetta, con una autenticità realistica. Qualche tempo fa, a Cannes, ho detto che cercherò di dar più peso alle donne, e anche questo progetto rientra in questa direzione”. Babygirl è un film che chiama in causa anche il corpo, per cui Kidman spiega: “io mi avvicino a tutto in modo artistico, mi chiedo come possa abbandonarmi al personaggio senza censurare il regista. Se penso alla storia o a Romy non penso al corpo, ma alla visione e a come arrivare al punto: l’apporto sono io stessa, con apertura e disponibilità”.

Se per Romy la vita famigliare si mostra appagante, serena, ricca di benessere affettivo e materiale, Romy incontra la sua sirena incantatrice in uno stagista della sua società, Samuel, interpretato da Harris Dickinson: “farò tutto quello che mi dirai”, per cui chi domina chi, chi asseconda chi? L’irrequietezza serpeggia, s’insinua tra le mura di casa, la brama del piacere s’appaga.

Per Dickinson, “Samuel rappresenta la confusione che sta nei giovani maschi di adesso, cosa differente dal viaggio di Romy. Halina è sempre stata pronta a sfidare le sfumature dei comportamenti: ci ha aperto un nuovo mondo”.

Nel film, per l’attrice australiananon c’è nessun giudizio, ogni spettatore potrà interpretare Romy e come si comporta: c’è il significato dell’essere esseri umani e il labirinto dentro cui sta questo essere umano. Il film mi lascia vulnerabile, perché adesso lo stiamo consegnando al mondo: durante le riprese era molto intimo. Sto tremando ma sono orgogliosa”. La vicenda, per Kidman, “è solo una crisi, alla fine. L’idea che il personaggio di Antonio dica ‘sono qui, sono tuo’, racconta molto del film, lui la voleva supportare… capisce quello che lei sta attraversando”.

Per Banderas, “quando si fa un film come questo è importante la comunione di intenti, è importante darsi il permesso reciproco. Ci sono scene molto delicate ma con ritmo e intensità: ci si deve sentire nel luogo più sicuro al mondo, con spirito di reciproca gentilezza” In passato, continua l’attore, “venivo a questi festival come Venezia, Cannes o Berlino con film che non si potrebbero più fare oggi, sarebbero molto criticati per il politicamente scorretto: siamo arrivati a una forma di autocensura quindi, quando ho letto questa sceneggiatura, ho pensato ci sia ancora il coraggio di mettere sullo schermo quello che tutti pensiamo; siamo animali, siamo prigionieri dei nostri stessi istinti. Noi siamo aggrappati a quello che siamo e qui c’è una donna che ne parla. L’arte dovrebbe essere proprio questo”.

Rispetto ad “Antonio era molto importante avere una persona molto attraente e mascolina, per cui non si dovesse discutere di quello, perché era la crisi esistenziale è di lei”, afferma Reijn. “Sono molto contenta di aver fatto un film sul desiderio femminile ma anche su una crisi esistenziale: è un film stratificato; sicuramente parla anche di mascolinità e controllo: obiettivo è fare rispondere alla domanda ‘posso amare in tutte le mie stratificazioni?’. Donne, uomini, tutti gli esseri hanno molte sfaccettature e tutti conteniamo anche una bestia: noi donne non abbiamo avuto molti spazi per capire quanti punti deboli ma anche quanto potere abbiamo e io non voglio che nessun personaggio sia punito ma esista, così – come pubblico – possiamo creare connessione con loro. Il film parla di amore e liberazione e la storia riguarda anche le differenti generazioni, e come la sessualità essere così affrontata in modo diverso”. E comunque, “l’orgasmo femminile fa parte della gioia di questo film”.

 

 

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30 Agosto 2024

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