Nicola Giuliano: “Il ladro di giorni è cinema, non pedagogia”

Il ladro di giorni di Lombardi in Selezione Ufficiale: con Scamarcio, Popolizio e l’esordiente Augusto Zazzaro


Salvo e Vincenzo. I De Beneditiis, figlio e padre. 11 e 38 anni per due universi naufragati su rive differenti da sette, quando il papà è stato messo in carcere, per colpa de “il ladro di giorni” appunto, secondo l’adulto: il bambino vive da allora in Trentino, tanto da essere bilingue tedesco per le origini del marito della zia (Vanessa Scalera), sorella della mamma scomparsa. 

Non paiono di certo figlio e padre, di primo acchito: un piccolo principe contemporaneo, il bambino, e un mezzo criminale trasandato, facile al furto, al pestaggio, all’uso delle armi, il padre. Eppure Enzo (Riccardo Scamarcio) è il papà di Salvo (Augusto Zazzaro) e appena uscito di galera lo cerca improvvisamente per tenerlo con sé qualche giorno, perché “un bambino è più efficace di una pistola” quando la tua missione è consegnare a Bari un bagagliaio (letteralmente) di cocaina: il padre è certo che la recita del rapporto genitoriale lo possa tutelare, così partono per un viaggio di quattro giorni che attraversa l’Italia in macchina, a bordo di cui i due convivono forzatamente, tra rabbia, imbarazzo, scoperta, straniamento e identificazione. 

Guido Lombardi, con Riccardo Scamarcio protagonista insieme all’esordiente Augusto Zazzaro – il bambino, convincente in una parte non semplice – dirige il suo terzo film (Là-bas, 2011 e Take five, 2013), presentato nella Selezione Ufficiale della Festa di Roma: Il ladro di giorni, titolo che, macroscopicamente, allude al tempo non trascorso insieme. 

Il film è una coproduzione Bronx Film, Rai Cinema e Indigo Film: Nicola Giuliano, coproduttore, precisa con forza che: “Il cinema racconta storie e non fa pedagogia, e il pubblico non ha così tanto preconcetto sulle narrazioni” come quello che dalla sala dei giornalisti s’insinua nel discorso, alla luce delle recenti critiche mosse a progetti come Gomorra, in cui è esplicita la fascinazione del male. “Non ho voluto spiegare nulla nel film, tutto è reso da dettagli, talento, silenzi, e il campo lungo nella fase finale del racconto è la presa di coscienza di Vincenzo” spiega il regista.  

Della storia del film, Lombardi racconta: “Scrissi 12 fa un soggetto, con il bambino narrante: in contemporanea ho sviluppato la sceneggiatura e autonomamente anche il romanzo. Per me è come se fossero un po’ complementari: nel romanzo l’attenzione è su Salvo, sentiamo tutti i suoi pensieri; nel film si pende più su Vincenzo, tra senso di vendetta e una scelta drammaturgicamente importante. Tutto quello che confluisce è finalizzato ad alimentare il rapporto tra padre e figlio”, quest’ultimo differente dall’adulto inizialmente, ma poi affascinato dal nero del padre, addirittura quasi capace di uno sparo confuso nel rumore di un tuffo, tanta è la seduzione che subisce da quella figura mancata alla sua quotidianità e al suo affetto.

“Il viaggio, nella mia visione, era finalizzato a far ritrovare a Salvo il coraggio, fino a quel momento mancatogli per l’assenza; il bambino ha ricevuto un’educazione disciplinata, fino al loro reincontro: il cortocircuito succede quando la figura paterna – colui che in teoria ti insegna la regola – si comporta in maniera differente, questo mi interessava indagare; e seppur Vincenzo gli insegni a sparare, il padre s’interroga comunque su questo suo insegnamento, tanto da impedirgli lo sparo definitivo”, continua Lombardi, per cui: “Queste storie di ingresso nell’età adulta appartengono già al mio primo film, Là-bas, e mi interessano il passaggio del confine e la scelta successiva, lo sfuggire o meno alle regole”, spiega Lombardi.

“C’è poco di mio a livello personale, abbiamo molto rispettato il copione, che leggendolo mi ha fatto pensare a The champ (1979) di Zeffirelli. Vedevo il mio personaggio come un uomo un po’ fermo nel Sud degli anni ’50, un mezzo criminale ma non uno stratega. Un semplice, capace di amare, anche se lui non lo sa all’inizio del film”, spiega Scamarico, nelle sequenze criminali accanto al complice e amico fraterno Totò, Massimo Popolizio, non di certo alla sua prima volta sul set, come invece l’esordiente e convincente Augusto Zazzaro, che del suo esordio racconta: “Il gruppo di lavoro di certo ha alleggerito l’ansia che una macchina da presa può generare in un ragazzino come me: personalmente ho provato gioia nei giorni di ripresa, non ansia, attenuata molto anche dalla complicità e dalle risate che vivevo nelle pause insieme a Scamarcio”, che di lui dice: “Apprende in frettissima, entravamo dal realismo (delle pause) alla scena (di finzione) con facilità anche grazie ad un mio ludico stuzzicarlo, che ha reso tutto più naturale”. 

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20 Ottobre 2019

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