ROMA – Il cinema ha raccontato centinaia di volte il razzismo, la segregazione, l’ingiustizia sociale, ma raramente è riuscito a farci capire per davvero cosa vuol dire subire tutto ciò sulla propria pelle. Un’impresa rara che è stata compiuta con grande coraggio da RaMell Ross e il suo Nickel Boys. Tratto dall’omonimo romanzo di Colson Whitehead, il film è stato scelto per aprire Alice nella Città 1014, nell’ambito della 19° Festa del Cinema di Roma, per un’anteprima italiana che segue quella di New York e di Londra.
La storia del romanzo vincitore del Pulitzer e nel film si ispira a ciò che è accaduto per davvero nella metà del secolo scorso in un riformatorio giovanile, rinominato qui Nickel Academy, dove la segregazione razziale voluta dalle leggi Jim Crow nel Sud degli Stati Uniti raggiungeva estremi terrificanti, che sfociavano nella violenza, nella tortura e nell’omicidio. Per raccontarla il regista decide di portare allo stremo anche il suo modo di comunicare, utilizzando quasi interamente l’espediente dell’inquadratura soggettiva. Per tutto il film vediamo ciò che accade dagli occhi dei protagonisti, vivendo in prima persona ciò che subiscono: un artificio tecnico che aumenta in maniera esponenziale l’immedesimazione.
“Volevo esplorare cosa volesse dire essere una persona in quel periodo e in quella situazione, sperimentare sulla propria pelle quello che stava vivendo. – spiega il regista – Mentre alcuni uomini camminavano sulla Luna, per altri, nello stesso momento, era già un grande risultato camminare liberi o sedersi dove volevano sull’autobus. Questa era la cosa a cui tenevo di più: mettermi nei loro panni”.
Gli unici momenti in cui la scelta dell’inquadratura soggettiva (che in certi momenti diventa una semi-soggettiva dalle spalle del personaggio) viene tradita è quando Ross decide di concentrarsi sui dettagli degli oggetti, spesso inquadrati da vicinissimo escludendo tutto il mondo intorno, e nell’uso frequente delle immagini di repertorio che raccontano i momenti di grande cambiamento sociale e politico degli Stati Uniti tra gli anni ’50 e ’70. Memorabile, in tal senso, la scena in cui il giovane protagonista, ancora bambino, si vede riflesso su una vetrina di un negozio di elettrodomestici, mentre le televisioni trasmettono le immagini di Martin Luther King.
“Nel film c’è questo parallelismo tra luoghi in cui sembra che si stia andando avanti, in cui sembra che si stiano facendo tanti progressi e altri in cui si fanno passi indietro. – continua il regista – Questo vale non solo per gli Stati Uniti. In quel periodo c’era il progresso incarnato dalle lotte per i diritti civili, ma nelle piccole città di provincia il razzismo diventava sempre più forte, questa dicotomia travalica i confini del film”.
Ethan Herisse interpreta Elwood, un ragazzo cresciuto da una nonna amorevole (Aunjanue Ellis-Taylor) che si appassiona presto alla lotta per i diritti civili. Appena 17enne viene arrestato per furto d’auto anche se è totalmente innocente, venendo imprigionato all’istituto Nickel Academy, dove fin dai primi momenti, capisce che i bianchi vengono trattati in maniera profondamente diversa di neri. Quello che i detenuti WASP e per il resto del mondo è un semplice riformatorio, per Elwood e i suoi compagni di colore è una vera propria prigione, fatta di privazioni, ingiustizie, violenze e sfruttamento. Cruciale è l’incontro con Turner (Brandon Wilson), un ragazzo cinico e disilluso, che si farà influenzare dall’idealismo di Elwood, facendo nascere un’amicizia indimenticabile.
“Per noi attori è stata un’esperienza nuova: c’era tanta emozione e paura, che poi è sparita quando abbiamo visto la fiducia che il regista riponeva in noi. – commenta Ethan Herisse, in riferimento alla tecnica cinematografica utilizzata nel film – Una fiducia che abbiamo cercato di non tradire. Abbiamo avuto l’opportunità di fare una cosa che non accade mai a un attore sul set: recitare dietro la macchina da presa. Questo ci ha permesso entrare nello sguardo del direttore della fotografia e del regista, aprendoci gli occhi sulla realizzazione del film”.
Nickel Boys rappresenta uno di quei casi più unici che rari in cui la scelta di un punto di vista offre continui spunti di riflessione, anche oltre ciò che il romanzo originale, già eccellente, voleva raccontare. Ricalcando la strada tracciata da film come Il figlio di Saul e La zona d’interesse, Ross ci regala un’opera d’arte totale capace di rinnovare una tematica abusata dal cinema hollywoodiano con idee originali e impattanti. Un lungo viaggio che ci scombussola e che ci fa entrare così tanto nella pelle e nella vita dei suoi protagonisti che, quando finisce, ci troviamo a sospirare di sollievo come dopo un brutto incubo, per essere tornati finalmente in noi stessi. Al sicuro, nelle nostre pelli bianche e privilegiate.
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