Nichi e Guédiguian, l’utopia in scena


De la famille...I documentari italiani del Torino Film Festival parlano veramente di tutto, ma soprattutto di cinema e di politica. O delle due cose insieme, come accade in De la famille et d’un amour immodéré. Realizzato dai romani Federica De Paolis e Angelo Bozzolini, è il ritratto di un grande cineasta, Robert Guédiguian, ma è soprattutto la favola di un’utopia realizzata attraverso l’impegno di un gruppo di artisti e amici. Il comunista Guédiguian, il figlio di un portuale di Marsiglia fiero delle sue origini armene e orgoglioso della sua classe, ha costruito il suo percorso d’intellettuale attorno a una piccola comunità (oggi anche una casa di produzione indipendente, la Agat Film) di cui fanno parte la moglie-musa Ariane Ascaride e gli altri attori che abbiamo conosciuto e amato anche in Italia grazie a titoli come Marius et Jeannette, La ville est tranquille, Marie-Jo e i suoi due amori. Storie fortemente radicate nel quartiere dell’Estaque e nel milieu dei lavoratori, ma anche bellissime storie di amori viscerali e di riscatto sociale mai avulso da una dimensione privata: è l’amore, dice Ariane in un bel momento del film, a tenere unita la comunità, non il desiderio. Ma ci sono anche immagini di rabbia e di banlieue davvero profetiche delle esplosioni dell’oggi, che Guédiguian presentiva già negli anni ’80.
Partiti dall’idea di mettere a confronto il francese con l’inglese Ken Loach, i due autori, che hanno finanziato il progetto con l’etichetta BIM di Valerio De Paolis, hanno finito per innamorarsi tout court di un cineasta che cita Brecht e Pasolini, ma che quando si è trovato a dirigere Ariane in una scena di nudo e di sesso con Gérard Meylan ha lanciato un autentico urlo di dolore.

C'è un posto in ItaliaÈ umano fino al battito cardiaco il Nichi Vendola di Corso Salani (C’è un posto in Italia, in concorso) che a Torino ha scatenato un acceso dibattito cui ha preso parte anche il governatore della Puglia eletto nonostante la sua dichiarata “diversità”. All’anomalia Vendola avevano dedicato un documentario, vincitore del premio Libero Bizzarri, anche Elisabetta Pandimiglio e Gianluca Arcopinto, qui in veste di produttore con la Pablo: il tutto fa parte di un progetto Vendola che diverrà un dvd con molti extra. Quanto a Salani, che il pubblico di Torino conosce bene per il suo lavoro straniato ma dalle emozioni a fior di pelle, ha seguito la campagna elettorale del candidato (come in un Bob Roberts meridionalista) tra sussulti, nervosismi, scatti liberatori, abbracci affettuosi. Non il potere con i suoi palazzi invalicabili ma la politica come polis. “Le emozioni private della stanchezza sono mescolate nel film con fatti della cronaca nazionale che si vedono scorrere nei telegiornali”, sintetizza Vendola. Mentre Salani, come nel recente Tre donne in Europa visto qui a Torino l’anno scorso, ha raccontato per ellissi, concentrandosi sul primo piano e sul fuori campo come nella sequenza delle donne di Enziteto, quartiere a rischio di Bari, che accolgono il candidato Vendola con una raffica di accuse ai modi e agli inganni della politica che conoscono. Le voci si intrecciano ma tutta la scena è tenuta sul volto di una sola di loro. “Molte di quelle donne hanno rifiutato i 50 o 100 € offerti dai galoppini del centrodestra in cambio del voto, nonostante gli enormi problemi economici, un marito in carcere o un figlio malato. È un nuovo popolo meridionale che ha saputo dare una lezione anche alle scelte del centrosinistra, quelle scelte che non coltivano il cambiamento vero, che peccano di eccessivo moderatismo”, ha spiegato il presidente della Regione. Mentre Salani ha rivelato come la troupe leggerissima fosse diventata parte integrante della piccola carovana del candidato: “Ho chiesto a Nichi se c’era qualcosa che non voleva che riprendessi, mi ha lasciato una totale libertà… forse l’unica che ci ha posto un veto è stata sua madre”.

autore
14 Novembre 2005

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