TORINO – Si ispira all’ultimo numero della rivista 8½, edita da Istituto Luce Cinecittà, il tema dell’incontro “Cinema italiano. Ci ha cambiato la vita?”organizzato dal magazine al Torino Film Festival per discutere insieme ai registi Davide Ferrario e Maurizio Nichetti, di come il cinema possa non solo affascinare, formare e influenzare il pubblico, ma addirittura cambiarlo, incidendo sui destini e sulle scelte. Nella consapevolezza che spesso si ragiona poco sui cambiamenti – psicologici, estetici e psicologici – che un film è capace di innestare. “E’ vero che sul piano personale più intimo, siamo tutti ontologicamente conservatori, spesso non andiamo a cercare di proposito il cambiamento – sottolinea il direttore della rivista Gianni Canova. La tv, ad esempio, è un medium conservativo: in maniera rassicurante fa di tutto perché tu continui ad essere quello che già sei. Stessa cosa per la rete che propone nuovi contenuti agli spettatori in base a quello che hanno già visto. Il cinema invece è un medium trasformativo: cerca – per quello che può – di spingerti incessantemente a evolverti e cambiare. Così a volte ti imbatti in qualcosa di non cercato, arrivi in un posto che ti disorienta, e qualcosa ti scivola dentro e ti cambia un pochino”.
Così scopriamo che è Sussurri e grida di Ingmar Bergman (1972), in cui la protagonista sta morendo per un male incurabile, il primo film che ha influito sulla vita di Gianni Canova: “Una pellicola di una bellezza assoluta da un punto di vista formale e un film emotivamente fortissimo. L’ho visto in un momento particolare della mia vita e mi ha aiutato ad elaborare il lutto per la morte di mia madre”. Un’altra pellicola per lui importante è stata Soldato blu di Ralph Nelson (1970), uno dei primi film western a schierarsi dalla parte degli Indiani d’America, ispirato ai reali eventi del massacro di Sand Creek del 1864. “Cresciuto vedendo i grandi western dalla parte degli yankee, vedere la prospettiva rovesciata dalla parte dei nativi , mi fece rendere conto che qualunque storia è raccontata da un punto di vista, che spesso è quello dei vincitori. E forse non bisogna accontentarsi di avere solo quel punto di vista”.
E’ una pellicola del 1944 vista in tv quando aveva solo sette anni, La Famiglia Sullivan di Lloyd Bacon, il film che ha influenzato di più Maurizio Nichetti. “Non l’ho più rivisto da allora ma mi ha impressionato così tanto la storia di quei cinque fratelli che ne ricordo benissimo soprattutto due momenti. In uno i fratelli si chiudono in una stanza a fumare di nascosto e il padre, scoprendoli, invece che rimproverarli dà a ciascuno di loro un sigaro che accendono. Nella scena successiva sono tutti in bagno a vomitare. Da quel momento e per tutta la vita, sono diventato non fumatore. Nell’altra scena, suona il campanello e alla madre viene detto che tutti i figli sono morti. Da quel momento ho buttato tutte le armi giocattolo e sono diventato un pacifista”.
Per Davide Ferrario, non è uno solo il film che gli ha cambiato la vita, quanto piuttosto il cinema in generale. “Negli anni della contestazione c’era un centimetro e non di più tra il diventare un organizzatore di cineforum e prendere in mano una pistola. Io allora ero un giovane che viveva quel periodo con l’idea di andare fino in fondo, lo strumento con cui farlo poteva cambiare; a me è capitato di lavorare in un cineforum, e così ho concentro lì le mie energie. Il cinema mi ha salvato da un sacco di guai ed è stata la possibilità di credere in quelle cose e avere l’opportunità di dirle. Ho capito, poi, che è stato un’arma più forte della lotta armata”.
Tremila spettatori in più per questa edizione, che si aggiungono ai 75mila della precedente edizione e indicano che il Torino Film Festival è una realtà consolidata per tutti gli amanti del cinema
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Il regista di Z L'orgia del potere e di Missing ha ricevuto a Torino il Premio Maria Adriana Prolo alla carriera salutato da un videomessaggio di Riccardo Scamarcio. In questa intervista parla di cinema e di impegno civile, di Fidel Castro e di Donald Trump, dell'Europa e dei rischi che corre ancora oggi la democrazia. E denuncia: "Netflix quando produce pretende il final cut e fa quello che vuole del film"