TORINO – L’ha scritto, l’ha coprodotto, l’ha diretto: Giorgio Guernier firma Never a Masterplan, film “omaggio alla carica eversiva di certo cinema”.
Giorgio, il suo primo film, Suburban Steps to Rockland (2017), è un doc sull’Ealing Club, quindi la musica è una variabile imprescindibile per la sua visione, deduco. Lì era un tempio del jazz, qui è …
…un film Cinéma Vérité su un gruppo di artisti londinesi, due pittori, una studentessa di letteratura, un’attrice francese, un busker canadese e una cantante americana: in pratica, due su sei sono musicisti quindi, rispetto alla musica, questo è un progetto completamente diverso rispetto al mio primo film; ovviamente, c’è l’elemento punk, nel senso che io vengo da lì come musicista, nasco tale prima di passare al cinema; è stato abbastanza naturale avere due protagonisti musicisti, oltre a quelli reali che interpretano se stessi, Mike Watt e Vashti Bunyan, quindi la musica è presente e lo considero, questo, un film musicale da un certo punto di vista, ma, appunto, è molto, molto diverso rispetto alla mia prima opera. Entrambi i film, seppur diversissimi, sono stati realizzati con un’etica DIY (do it yourself): io sono veneto ma ho studiato e sono cresciuto musicalmente a Bologna, in modo particolare all’Atlantide, un centro sociale che poi è stato purtroppo sgomberato. E’ lì che ho imparato il Punk Rock e l’etica DIY, che ho poi usato per la produzione di entrambi i film; il fil rouge è cercare di adattarsi con mezzi minimi. Il primo film è costato molto di più, però è anche un po’ più commerciabile, è un’altra dimensione, ma l’idea resta comunque quella di adattarsi a fare cinema con mezzi anche veramente limitati, un concetto che viene dal Punk.
Nelle note di regia si legge una sorta di slogan accattivante del film: ‘un omaggio punk al Cinema Verità degli Anni ‘70’. Esattamente cosa sintetizza questa frase, e cosa vuole far emergere con i concetti di ‘punk’ e ‘verità’?
Cinéma Vérité è una definizione che riporta al cinema di Jean Rouch, ma anche a quello di Cassavetes: è il Cinema Realista, perché nel modus operandi, nel mio piccolo, mi sono ispirato a questi autori, ma anche a Godard. A livello di stile, però, proprio a Cassavetes: la camera a mano cerca di ritrarre le persone più fedelmente e realisticamente possibile. Mi sono piaciuti molto anche dei film della scena Mumblecore americana di inizio Anni 2000. Non penso sia un’idea nuova ma l’intenzione è quella di offrire un ritratto il più realistico possibile di alcune persone: io cerco di analizzare dei personaggi nella maniera più veritiera possibile. Considerando anche certe sfumature della colonna sonora un po’ indie, lo chiamo ‘un omaggio punk al Cinéma Vérité’.
I suoi protagonisti sono artisti alla costante ricerca dell’ispirazione: per questo suo rapporto stretto con la musica, la sua ispirazione prima arriva sempre da lì, oppure cos’è d’ispirazione?
L’ispirazione per questo film mi è venuta guardando i film degli autori che ho citato, ma anche guardando Ermanno Olmi, altro maestro irraggiungibile: L’albero degli zoccoli è un film estremamente realista. Mi piace molto il Cinema Realista e mi piacciono le persone, quindi mi piace il cinema umanista che cerca di parlare delle persone nella maniera più vera possibile. Per il modus operandi, per la gestione del set con una troupe veramente minima, spesso anche senza un aiuto regista, il tutto trattato come fosse un documentario, mi sono appunto ispirato all’etica DIY, che cerca sempre di trattare il materiale a disposizione nel modo più economico possibile.
Nella loro ricerca di equilibrio, Celeste, Tippy, Enrico, Thomas, Jim e Lee, sono alla ricerca di una guida, che trovano in due idoli della controcultura underground, Mike Watt (leggenda dell’Alternative Rock americano) e Vashti Bunyan (madrina del Freak Folk).
Mike Watt e i Minutemen dicevano: ‘We Jam Econo’, cioè, quando andavano a registrare, per pagare meno, registravano su nastri usati prima da altri gruppi (ovviamente si parla di epoca analogica); i nastri, essendo di seconda mano, costavano meno. Lui è un eroe per me, come altri musicisti della scena americana di quegli anni lì. Lui è una guida da un certo punto di vista: ho avuto modo di conoscerlo e la sua idea è quella di cercare di fare arte anche imponendosi dei limiti, non cercando le grosse strutture. Vashti, invece, ha avuto una storia curiosissima, che pensavo funzionasse bene con l’idea del film: quando nel 1970 è uscito il suo primo disco, Just Another Diamond Day, non l’ha ascoltato praticamente nessuno, almeno così pensava lei; Vashti ha poi mollato completamente la musica, ma quando è arrivato Internet ha scoperto di avere un seguito pazzesco, con gruppi come Belle and Sebastian e gli Animal Collective che facevano le cover dei suoi brani; è l’emblema dell’Underground più totale e forse proprio l’Underground è la chiave di tutto.
Per Never a Masteplan ha deciso per un linguaggio ibrido, tra finzione e documentario: perché questa scelta, qual è il valore aggiunto?
In generale mi piacciono veramente molto gli ibridi, quei film in cui a un certo punto ci si chiede: ‘ma questo è un film o un documentario?’. Mi piace tantissimo l’idea di mescolare i generi: per esempio, Masculin Féminin di Godard è un documentario o un film? Il film più bello che ho visto nel 2022 è Gigi la legge di Alessandro Comodin, che secondo me è un Film ma ai David è stato candidato come Documentario. La storia è piena di questi bellissimi ibridi. Per me, Never A Master Plan, nel suo piccolo, è più un film e considero puramente documentaristica solo l’intervista a Mike Watt – già quella con Vashti Bunyan è un pochino costruita; per il resto, è tutta finzione ma a me piace il Cinema Realista e quindi è stato tutto girato come fosse un documentario, con i dialoghi improvvisati, nonostante le scene e i contenuti siano stati effettivamente costruiti; insomma, non ho inventato niente ma mi sono appunto ispirato ai maestri del Cinéma Vérité.
Never a Masterplan è stato presentato al London Doc’n’Roll del 2023. La premiere a SYS – dove partecipa nella sezione Long Play Future – è stata lunedì 26 febbraio, aperta da un live di Lepre; a cui è seguita una seconda proiezione, il 29 febbraio, alla presenza del regista.
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