“Vivevamo vicine e il nostro primo incontro avvenne nel 1934. Ci incontrammo in un negozio di alimentari. Mia madre e la madre di Anne, ricordo, cominciarono a parlare tedesco perché nessuna delle due conosceva l’olandese. Anne era con lei. Il giorno dopo, quando la rividi all’asilo, la riconobbi di schiena e corsi ad abbracciarla. Da allora, divenimmo amiche. A scuola, anni dopo, Anne tra una lezione e l’altra scriveva su un Diario, che proteggeva da sguardi indiscreti. Tutti le chiedevano cosa scrivesse ma la risposta era la stessa per tutti: ‘non sono affari tuoi!’. Era una bambina come le altre, normale. Quando la rividi nel campo di concentramento provai sentimenti contrastanti. Ero felice di rivederla ma al tempo stesso triste. Speravo si fosse salvata scappando in Svizzera. Solo dopo la fine della guerra, seppi della morte di Anne. Ero ancora ricoverata in ospedale quando ricevetti la visita di Otto Frank. Fu lui a dirmi che entrambe le sue figlie non erano sopravvissute”, queste le parole di Hannah Goslar, 93 anni, raccolte in occasione di un’intervista, e dal cui racconto è stata tratto il film Anne Frank – La mia migliore amica di Ben Sombogaart, dal 1 febbraio su Netflix.
La piattaforma, così, s’arricchisce di un ulteriore prodotto che racconta l’Olocausto ebraico. Il Diario di Anne Frank è rimasto sempreverde nel tempo, rendendo l’autrice un simbolo. Il cinema può essere strumento di memoria e il film di Sombogaart approccia non stanziando sul dramma quotidiano estremo, ma raccontando come una carezza il rapporto d’amicizia, facendo così conoscere Hannah Elizabeth Goslar, detta Hanneli; da qui, da lei, la storia di Anne, “vista” dalla sua interiorità, raccontata da qualcuno che ha davvero trascorso del tempo con lei, proprio anche mentre scriveva il suo (poi famoso) Diario.
La serie Netflix si architetta in un “prima” e un “dopo”: Amsterdam e il campo di concentramento in cui Hannah (Josephine Arendsen) e Anne (Aiko Mila Beemsterboe) sono state deportate, in due sezioni differenti, per cui solo un’unica è stata l’occasione d’incontro. Il “prima” è anche l’adolescenza spensierata, seppur la terrorifica avanzata di Hitler fosse all’ordine del giorno. E poi giunge quel “dopo”, sinonimo della necessità di provare a sopravvivere.
Anne, 16 anni, è deceduta nel campo germanico nel ’45; Hannah, ex infermiera tedesca di origine ebrea, è stata superstite dell’Olocausto e vive adesso in Palestina.
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