Néo Kosmo: Giorgia Surina tata androide in un corto

In occasione della 77° Mostra il dibattito “Realtà e distopia nel cinema di fantascienza” ospita le immagini in anteprima del corto di Adelmo Togliani


Si parla anche di fantascienza e di universi distopici alla 77° Mostra di Venezia con le prime immagini di Néo Kósmo: il nuovo cortometraggio scritto e diretto da Adelmo Togliani, con Giorgia Surina nel ruolo di Alèsia, una tata androide alle prese con una famiglia di umani vittima inconsapevole di un mondo sintetico privo di ogni umana interazione. Le prime immagini vengono proiettate in anteprima all’Italian Pavilion al Lido, in occasione del dibattito “Realtà e distopia nel cinema di fantascienza”.

Néo Kósmo, prodotto da Santa Ponsa Film e Accademia Togliani in collaborazione con CinemETIC è un film realizzato con il contributo di MiBact e Apulia Film Commission. Il corto si avvale inoltre del contributo di SMI Technologies and Consulting, innovativa società di progettazione e realizzazione IT che ha fornito, con la sua piattaforma YOUnified Platform®, l’intelligenza artificiale con cui la famiglia gestisce la casa e controlla da remoto il proprio lavoro.  

Ospiti del dibattito – oltre al regista Adelmo Togliani – l’attrice Giorgia Surina, gli ingegneri Cesare Pizzuto e Stefano Tiburzi fondatori di SMI Technlogies & Consulting, il giornalista Andrea Iacomini e il direttore del Trieste Science + Fiction Festival Daniele Terzoli. Modera il giornalista e critico cinematografico Emanuele Rauco, che sottolinea: “la tecnologia oggi ci avvicina sempre di più al futuro, per cui cambia il concetto di distopia. Se L’uomo che fuggì dal futuro era ambientato nell’anno 800.000 oggi abbiamo Black Mirror, dove la distopia è domani, e può scaturire dall’uso fallace che l’uomo fa della tecnologia odierna”. 

Il corto – che è innanzitutto il secondo capitolo di una trilogia che ha avuto inizio con La Macchina Umana (2017) –  raccoglie e lancia al pubblico interrogativi di natura etica, regalando uno sguardo sul futuro e sulle conseguenze del progresso umano.

“Abbiamo immaginato che in un futuro prossimo saranno i robot a svolgere i compiti che prima erano familiari – dice Surina – Tutti si discostano dalla realtà quindi paradossalmente la tata è l’unica ad avere un contatto con la casa, con il bambino, con la realtà mentre tutti sono immersi nella realtà virtuale. Osserva il tutto con sguardo curioso e di scoperta. La macchina diventa sempre più umana e capisce, lei che è un robot, che quel mondo è una deriva pericolosa. Lo sguardo è quello di una bambina che scopre il mondo, indaga la realtà e la mette in discussione, scoprendone le mille sfaccettature come se fossero tanti pixel che rappresentano le sfumature della quotidianità. Alessia sviluppa capacità di analisi istante dopo istante. Il robot impara dai propri errori e dalle esperienze che fa. Un continuo ‘domanda risposta’. Ma ho lavorato molto sulla lentezza dei movimenti, dando la percezione che ogni cosa io dovessi scandagliarla fino al midollo. La presenza di un bambino è particolarmente commovente. E’ l’unica fonte emotiva realmente presente all’interno della casa. Forse dopo tanti anni sarebbe diventato come i genitori e la sorella, privo di emozioni e incapace di vivere la vita, ma per ora è un bocciolo di vitalità e gioia di vivere, e questo porta Alèsia ad acquisire sensibilità”.

“Il titolo fa riferimento alla realtà virtuale – dice il regista – ma anche al mondo a cui dovremo abituarci, con coesistenza di umani e androidi. Adesso ci stiamo abituando, ad esempio, al mondo post covid dove ci salutiamo con il gomito. E’ come in Ready Player One, ma la virtualità è imposta. Così come oggi non riusciamo a staccarci dai cellulari, domani potremmo non staccarci mai dai visori. La vicenda di Colleferro, ad esempio, mi ha colpito. Fa venire voglia di avere un casco per sfuggire dalla realtà, per quanto gli esseri umani a volti ci deludano”.

“La responsabilità di chi lavora con la tecnologia – dice Pizzuto – è far sì che la tecnologia faccia sì che l’uomo stia meglio e non peggio. E’ un problema morale e bisogna porselo, altrimenti è meglio davvero un mono di bambini. Il cinema ci permette di fare una proiezione e vedere cosa potrebbe accadere. Pensiamo a Dalla terra alla luna o a Star Trek. Oggi riusciamo a comunicare facilmente con la tecnologia. Lì si teletrasportavano. Ogni volta che spostano un fotone pensiamo tutti a Star Trek”. 

“Con il team di sviluppo del film abbiamo fatto in modo che uno strumento oggi esistesse apparisse più ‘futuro’, ed è stato il lavoro principale che abbiamo fatto sulla tecnologia”. 

“Il nostro festival – dice Terzoli – è attento a ogni produzione, anche quelle indipendenti e non mainstream, con un occhio fuori dai cliché. E questo cinema segue le linee autoriali, guardando alla contemporaneità e al futuro, anche da un punto di vista sociologico, riportando la distopia a situazioni di realtà vicine al presente. Quest’anno è faticoso. Ci stiamo aggiornando presentandoci in forma ibrida, in parte in presenza e in parte online. Cerchiamo di affrontare la crisi prendendone non solo le difficoltà ma anche le opportunità”. 

“Da portavoce dell’Unicef – dice Iacomini – l’uso della tecnologia da parte dei bambini e dei ragazzi va tutelato. Resto coinvolto di fronte all’immagine di un uomo che vive in una realtà differente, mentre il bambino deve raggiungere un’età specifica per portarla. E’ come se gli adulti vivessero in una scatola mentre i bambini vivono un altro punto di vista e un altro sguardo. La tecnologia va benissimo, ma chiediamoci chi porta questa maschera, e dove la si porti. Arriva al Bangladesh e al cuore dell’Africa, o riguarda solo noi?”. 

Realizzato con il contributo di Argos e Davide Campagnano, sarà distribuito attraverso i più importanti festival nazionali ed internazionali a partire da settembre 2020.

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