Puglia. Prima di facebook, prima di Internet, prima degli smartphone, prima di tutto. E’ in quest’ambientazione, piena di arcaica bellezza, ma violata dalle gravine che si aprono come ferite e sporcata dal fumo vomitato dalle ciminiere del polo industriale, che prende corpo la storia de Il paese delle spose infelici, primo lungometraggio di fiction di Pippo Mezzapesa, in concorso al Festival di Roma e in sala dall’11 novembre con Fandango in 300 copie.
Prodotto da Fandango stessa insieme a Rai Cinema, con il contributo dell’Apulia Film Commission, il film è tratto dall’omonimo libro di Mario Desiati, che accompagna il regista a Roma, insieme al cast, per presentarlo.
“Si ambienta, come del resto il romanzo – spiega Mezzapesa – negli anni ’90. Anni amorfi, in cui la tv irrompeva nelle case con programmi come Non è la Rai, per nascondere il declino circostante. Sono gli anni in cui nascono il populismo, il qualunquismo, la violenza nel linguaggio politico. Ma anche gli anni in cui incontrarsi era difficile, anche logisticamente. Ci si davano gli appuntamenti telefonici, e l’amicizia e l’amore andavano davvero conquistati. Era bello e ho cercato di rendere questa dimensione epica”.
L’intreccio ha la struttura tipica del racconto di formazione. Due ragazzi di diverse estrazioni sociali, Zazà e Veleno, si incontrano su un campo da calcio e lì cementano la loro amicizia. Un giorno vengono sconvolti da una visione: è quella di Annalisa, una bellissima ragazza che tenta il suicidio, fallendo, gettandosi dal tetto di una chiesa con indosso un vestito da sposa. La avvicinano, la conoscono, si prendono cura di lei. Se ne innamorano? Forse. “E’ un sentimento che ancora non sanno definire – interviene Desiati – stanno imparando a verbalizzarlo”. Un sentimento amorfo, dunque, come il momento che stanno vivendo.
“Non abbiamo voluto creare una storia pugliese – specifica il produttore Domenico Procacci – semplicemente mi piacevano i lavori precedenti di Mezzapesa e avendo avuto Desiati per un periodo come direttore editoriale di Fandango Libri, abbiamo iniziato a parlare della trasposizione del suo romanzo”.
“Che inizialmente – dice Mezzapesa – sembrava addirittura inadatto al cinema. Lo abbiamo letteralmente scarnificato, per arrivare al suo cuore e poi lo abbiamo rimesso in scena. Ma ho cercato di preservare l’istinto dei miei attori, Nicolas Orzella, Luca Schipani e Aylin Prandi, chiedendo loro di dimenticare la sceneggiatura, dopo averla letta. I miei personaggi sono in una fase di passaggio, l’adolescenza, quella che uno scrittore a cui sono legato, Rocco Scotellaro, definiva il più crudo dei tormenti. Il territorio, a metà tra natura incontaminata e natura violata, rappresenta al contempo il limite sul quale si regge il loro fragile equilibrio e il destino ineluttabile da cui tentano di fuggire, cercando l’amore, la bellezza e l’interazione tra loro”.
Nel film, dunque, lo spazio è amorfo quanto il periodo storico. Un tempo prima del tempo in uno spazio prima del tempo.
“Ma il messaggio – chiarisce il regista – non è assolutamente un invito a fuggire dalla Puglia. Ora il territorio è in ripresa, grazie anche al lavoro di enti come l’Apulia Film Commission, che dà ai giovani possibilità che quando ho iniziato io, non molto tempo fa dopotutto, non c’erano. Proprio per questo ho deciso di girare a Massafra e non a Martina Franca, dove si ambienta il libro. Cercavo un posto non modernizzato, adatto più o meno a ricreare l’atmosfera dei primi anni ’90”.
“Un sollievo per me – conclude scherzosamente Desiati – che a Martina Franca ci sono nato e cresciuto. Non sapete in quanti mi hanno chiamato perché si identificavano nei personaggi del libro. Addirittura un vecchietto mi ha contattato dichiarando con convinzione: ‘Annalisa sono io!'”
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