Nadine Labaki: “Do voce ai bambini di strada”

Cafarnao Caos e miracoli di Nadine Labaki arriva in sala con Lucky Red dall'11 aprile. "Ora che ho scoperto l'impegno, non posso fare marcia indietro", dice la regista libanese


Un grido dall’allarme per l’infanzia violata che ha l’ambizione di arrivare fino alle orecchie dei potenti della Terra. Ecco Cafarnao Caos e miracoli, il film di Nadine Labaki (leggi l’articolo) che arriva in sala con Lucky Red dall’11 aprile dopo aver vinto il Premio della giuria a Cannes ed essere stato candidato all’Oscar per il miglior film straniero. E proprio mentre la regista libanese è a Roma per la conferenza stampa, accompagnata dal marito, il musicista e produttore Khaled Mouzanar e dalle due piccole figlie della coppia, arriva la notizia che presiederà la giuria di Un Certain Regard nella prossima edizione della kermesse francese. La giovane cineasta diplomata in audiovisivo nel 1997 all’Université Saint-Joseph di Beirut, autrice di commedie come Caramel ed E ora dove andiamo? è decisamente a una svolta della sua carriera. Cafarnao, che prende il titolo dall’idea di caos creativo nella scrittura del copione ma anche dal sentimento di smarrimento vissuto dai piccoli protagonisti, è la storia dell’odissea di Zain (l’incisivo Zain Al Rafeea), un bimbo di 12 anni cresciuto in una famiglia numerosa e poverissima, tanto che i genitori arrivano a vendere la sorellina di 11 anni a un vicino di casa che vuole sposarla. Un melodramma della povertà – imparentato con film di successo come The Millionaire – che vuole essere una bomba a mano lanciata contro lo spettatore con le sue assillanti domande sull’umanità migrante, senza diritti e senza identità, e sulla nuova schiavitù. Un film manifesto, se vogliamo ricattatorio, ma anche molto potente nelle immagini di devastazione che propone. La regista, che ritiene di aver evitato la cosiddetta “pornografia della povertà” con la sua estrema fedeltà alla verità, ha tenuto a sottolineare come tutti gli interpreti siano persone che mettono in scena sostanzialmente la propria stessa storia. “Il neonato Yonas, per esempio, è una bimba. Abbiamo cercato a lungo un bebè che avesse quelle caratteristiche, doveva avere circa un anno e muovere i primi passi. Siamo noi della troupe che ci siamo adattati alla verità di questi bambini che non recitano, ma sono se stessi”.  

La parola “capharnaum” indica in francese una grande confusione di cose e persone. E anche il suo film mette insieme tanti elementi differenti, anche religiosi perché Cafarnao è la località da cui Gesù iniziò la sua predicazione. E poi allude al tema della guerra, da sempre presente nella cultura libanese.

Tutto è venuto naturalmente e per istinto, in un caos che è anche il risultato della guerra e della storia del Libano. L’elemento religioso è vero che è presente: Zain è quasi un piccolo Messia, un salvatore, la voce di questi bambini senza voce. 

Quali politiche si possono mettere in atto per mutare la condizione dei profughi?

Non è mio compito, come artista, indicare le soluzioni ma solo mettere in luce le emergenze. In Libano risiedono circa un milione e mezzo di profughi e la loro condizione è profondamente ingiusta. Io sento la responsabilità di dare un volto umano ai problemi che invece vengono raccontati in modo astratto, attraverso i dati e le cifre, dai telegiornali. Sono i politici che debbono mettersi attorno a un tavolo e ragionare. 

Il film è il risultato di oltre 500 ore di girato. Come avete lavorato?

Siamo partiti da uno script solido che a sua volta era il risultato di tre anni di ricerche. Non mi sentivo autorizzata a immaginare delle storie, non avendo vissuto quelle esperienze. Ho visitato luoghi di detenzione, tribunali, campi profughi, ho parlato con bambini e famiglie. Intanto scrivevo. Abbiamo girato con attori non professionisti che spesso avevano avuto esperienze simili ai personaggi. I bambini, in particolare, non recitavano, avevamo anche una bimba di un anno. Bisognava essere pazienti, aspettare che le cose accadessero, improvvisare. Quindi abbiamo girato per sei mesi. Alla fine sono arrivata a un primo montaggio di 12 ore e da lì alla durata attuale di due ore. 

Il film è riuscito a muovere le coscienze come lei voleva?

Ha sollevato un grande dibattito e continua a farlo. Organizzeremo proiezione per i ministri, i magistrati, gli avvocati in Libano. Voglio sfondare i limiti del cinema, non so se riuscirò, forse sono ingenua, ma è necessario tentare. 

Tra le emergenze di cui si parla c’è anche la vendita delle bambine e i matrimoni tra uomini adulti e ragazzine preadolescenti. Una piaga atroce e difficile da quantificare.

Sono scioccata dalle cifre sulle spose bambine, è una situazione molto più diffusa di quanto crediamo, ed è nascosta. Si dice che è normale, che fa parte della tradizione, ma non è così perché le bambine vengono vendute e i governi non vogliono far conoscere la portata reale del fenomeno. 

Tra le sue fonti cinematografiche sembra esserci il neorealismo, ma anche il cinema iraniano con la sua semplicità nel mostrare l’infanzia e la vita quotidiana.

Non ho cercato fonti di ispirazione, mi sono affidata all’istinto, questa storia non poteva essere raccontata altrimenti. Certo, mi ha sempre affascinato il neorealismo e amo molto la naturalezza della recitazione nel cinema iraniano. Ma mentre filmavo non pensavo a nulla di tutto questo. 

Cafarnao segna un punto di svolta nel suo cinema, dalla leggerezza del linguaggio di commedia dei due primi film a una nuova voce, drammatica e impegnata. Pensa che proseguirà su questa strada?

E’ difficile dirlo. In genere sono le storie che vengono da me e crescono come ossessioni. Oggi però sento maggiormente la responsabilità della mia posizione di artista. Il cinema è una delle armi più potenti per favorire il cambiamento, specie se vivi in certe zone del mondo: la nostra è una regione maledetta, anche se tutto il mondo sta diventando un cafarnao. Non credo di poter fare marcia indietro da questo impegno. 

Oggi il piccolo Zain ha una nuova vita. 

Sì, vive in Norvegia con la sua famiglia. E’ andato a scuola, per la prima volta nella sua vita e anche i suoi fratelli e i suoi genitori hanno iniziato a studiare. Tutti i bambini del film sono rinati. Sosteniamo queste famiglie in modo che non debbano mai più mandare i figli per strada a lavorare. 

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26 Marzo 2019

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