TORINO – Lei stessa, Nadia Trevisan – CEO e produttrice di Nefertiti Film, è stata lo scorso anno una delle protagoniste della sezione FeatureLab con Piccolo corpo di Laura Samani (TFL Production Award 2018) e per questo ha avuto diritto d’eleggibilità diretta ad Alumni Meeting – organizzato ogni anno dal 2012 – uno speciale spazio di networking dedicato alla comunità dinamica di TFL: quest’anno, per la prima volta a Torino dopo diverse edizioni a Venezia e Karlovy Vary (Repubblica Ceca), il Meeting accoglie 15 Alumni che stanno lavorando a un lungometraggio (fiction, animazione e/o documentario) o ad un progetto di serie tv. Lezioni, sessioni di gruppo, consultazioni individuali – dalla sceneggiatura alla progettazione del pubblico – Alumni è un motore per accelerare lo sviluppo dei progetti come The Rope (La corda) di Alberto Fasulo, di cui Trevisan è appunto produttrice.
Nadia, lo spirito di Alumni Meeting è quello di un momento in cui trarre ispirazione, scambiare esperienze e idee, avviare o accelerare collaborazioni su progetti attuali e futuri: lei in che modo si sente aderente a questa filosofia, in che maniera concreta la sta facendo sua in queste giornate?
Mi sento assolutamente in sintonia con questa definizione di Alumni, soprattutto per la fase del progetto con cui sto partecipando, The Rope (La corda) di Alberto Fasulo, il suo prossimo progetto di finzione. È davvero in un nascente momento di sviluppo, c’è soltanto un’idea. Il mio desiderio era proprio quello di partecipare ad un contesto che non fosse ancora troppo strutturato per quanto riguarda l’aspetto di sviluppo dello script, perché non c’è ancora questo materiale, però volevo incontrarmi con altre figure professionali del settore, europee, per poter avere un punto di vista altro. E questo è il momento perfetto per me, per cui mi sento in linea con l’essere qui e il frequentare questa occasione di TFL.
Cosa ci può anticipare di The Rope (La corda)?
È davvero in una primissima… fase. È ancora un soggetto. Questa volta Alberto Fasulo ci porterà nel futuro, sarà un progetto di finzione, ambientato in un futuro distopico, e sarà l’ultimo film che concluderà la trilogia sull’uomo, cominciata con Tir (2013), proseguita con Menocchio (2018), e chiusa con The Rope appunto.
Quindi il progetto prevede anche un aspetto tecnologico significativo, considerata l’ambientazione ‘nel futuro’?
Stiamo proprio lavorando sullo studio del tipo di tecnologia da usare, probabilmente lavoreremo in una maniera completamente differente dagli approcci precedenti di Alberto: lui arriva dal documentario e quindi aveva un approccio molto concreto e attaccato al realismo, questa volta invece si sfiderà e probabilmente lavoreremo in un contesto dove anche l’approccio con il VFX sarà importante.
Essere in una rosa come quella di Alumni Meeting, in cui siete in 15 dall’Europa, alla luce dell’andamento del cinema italiano e internazionale contemporaneo, che valore ha per un addetto del settore, nel suo caso per una produttrice indipendente?
Per me è importante essere inserita in un contesto internazionale, io lavoro solo in un contesto internazionale, sono nata in un contesto internazionale, vivo in Friuli, una terra di confine, quindi naturalmente le mie storie sono rivolte all’Europa: cerco fin dall’inizio di un progetto di capire quali siano le strade più percorribili in un ambito che sia ovviamente italiano, anche per la parte di finanziamento, ma dal punto di vista internazionale cerco ogni volta di ‘cucire addosso l’abito’ al progetto, quindi sono contenta di essere parte di questo gruppo, anche se al momento è difficile dire quale strada prenderà poi il film perché, appunto, è come un abito sartoriale, e in questo momento ‘lo stiamo disegnando’.
Dal suo punto di vista peculiare di produttrice, di cosa avverte ci sia più bisogno in questo momento per il nostro cinema italiano? Di storie? Di incremento tecnologico? Di ruoli specifici magari poco valorizzati? Di cosa, per cercare anche un respiro internazionale?
Non mi piace parlare della mancanze, ma delle valorizzazioni, ovvero di ciò che si sta già facendo e ciò che il cinema e le istituzioni dovrebbero continuare a fare: pensare a sostenere i piccoli produttori, o comunque i film con un basso budget, e sostenerli attraverso fondi di sviluppo o di co-produzione, lavorare con progetti come quelli per cui quest’anno sono state aperte le selezioni per le co-produzioni minoritarie. È auspicabile che questo continui, che le istituzioni ascoltino i grandi, ma anche i piccoli, perché questi possono aiutare a dare visibilità: io mi confronto sempre con produttori ‘della mia taglia’ in Europa e questo fa più ricco il cinema, quindi la mia propositività è a sostegno di strade che magari adesso sono in fase di assestamento, ma si possono continuare ad approfondire. Un contesto come TFL, molto internazionale, permette di capire cosa sta succedendo oltre i nostri confini, quindi per l’Italia è un’opportunità enorme di mantenere dialoghi aperti con l’Europa.
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